16 ottobre 2012 11:11

C’è chi si difende nel processo e chi si difende dal processo. È stato uno dei tormentoni degli ultimi anni, e vale anche per la giustizia militare, nella fattispecie per la corte marziale letteraria di Pagina 69.

Niccolò Ammaniti e Alain Elkann sono molto fortunati, molto furbi o molto ben informati, decidete un po’ voi. Fatto sta che nei loro nuovi libri - rispettivamente, Il momento è delicato e Spicchi di un’arancia - la pagina 69 è bianca o quasi bianca. A dire il vero Ammaniti una riga l’ha scritta, che una corte appena più severa della nostra riterrebbe senz’altro meritevole di fucilazione (“Respira. Piano. Ma respira”). Ta-ta-ta-ta-ta! Ora non respira più. Ma aspettiamolo al varco della prossima opera. Quanto a Elkann, la sua pagina 69 contiene solo un’indicazione topografica: “Place de l’Alma”. La terremo in conto quando si tratterà di scegliere il luogo della sua pubblica esecuzione letteraria.

C’è chi si difende nel processo e chi si difende dal processo, dicevamo, ma non a tutti è concesso scegliere la seconda via. Andiamo, il fondatore del Partito democratico, l’uomo che ha fatto di tutto per marcare la sua distanza dal principale-esponente-dello-schieramento-a-noi-avverso, poteva forse comportarsi come un Berlusconi qualunque, invocare il legittimo impedimento o qualche altra diavoleria avvocatesca? No, non poteva. L’isola e le rose di Walter Veltroni ha infatti una Pagina 69 piena come un uovo. Piena di cosa, questo è un altro affare, ed è appunto il dubbio che andremo a sciogliere.

Le prime dieci righe, forse per suggerimento del suo legale, sono assai poco piene, diciamo pure che sono dilatorie fino a sfiorare la rarefazione assoluta. Fuori piove, un tizio di nome Giulio si mette un asciugamano in testa e ha un’idea geniale. Tutto qui, ma Veltroni - lo ha mostrato su Minima & Moralia Christian Raimo, forse il massimo walterveltronologo italiano - è un maestro di ridondanze e di annacquamenti. E così la pioggia scende, ma copiosa, e l’acqua batte sul tetto della mansarda, e Giulio si copre con un telo, ma si copre tutto, ed è necessario spiegare per almeno un paio di frasi il perché di questo gesto - vuole smettere di guardare e separarsi dal mondo “sgarbato” - finché non è fulminato da un’intuizione. Però attenzione, bisogna essere sbrodoloni e teatrali fino in fondo, mica si può semplicemente suggerire l’affacciarsi di un’idea, no: con tipica frase da coccodrillo o da documentario di History Channel, la sua è “la folgorazione che avrebbe cambiato la sua vita”, e Giulio si stupisce di averla avuta. La suspense cresce, ma non tanto da farci correre a pagina 70, dunque non escludiamo che la folgorazione riguardasse la possibilità di soffocarsi con il telo azzurro e metter fine alla propria esistenza grama di personaggio di un romanzo di Veltroni. Lasciamolo lì sotto, e passiamo alla seconda metà della pagina.

Qui c’è proprio la firma del Maestro. Lo avrei riconosciuto tra mille: è lui, è Walter, anzi è l’essenza del veltronismo distillata in poche righe. La nostalgia di una realtà già tutta spolpata e digerita dal cinema, che si ripropone, dopo la digestione, sotto forma di feticci pop (e nazional-pop). Veltroni è nato nel 1955, dunque a rigore nei favolosi anni sessanta e settanta era vivo e raziocinante, ma ha gli stessi ricordi che potrei avere io dopo una Cura Ludovico a base di film balneari di Dino Risi e musicarelli con Gianni Morandi: i bambini con le biglie del giro d’Italia, gli adolescenti che ballano lo shake davanti al bar. E perché non aggiungere, in un angolo, una mamma che raccoglie i punti Mira Lanza sorseggiando la cedrata Tassoni, due bambini che si scambiano le figurine di Pizzaballa e un ragazzo che prende la chitarra e strimpella i Dik Dik? Ma no non si può, farebbe troppo chiasso: “Silenzio, tramonto” (se non fosse chiaro che è tramonto, Veltroni ce lo dice due volte in cinque righe).

E allora dedichiamoci all’altro segno inequivocabile del veltronismo, quella che potremmo definire la Sindrome dell’Agendina di Minà. Ricordate? Tanti anni fa, intervistato da Gianni Minà, Massimo Troisi confessò che lo invidiava molto per la sua agenda telefonica, dove si possono incontrare sequenze mirabolanti come Fratelli Taviani-Little Tony-Toquinho-Troisi. Ecco, in men che non si dica i personaggi di Veltroni s’imbattono in Wilma Rudolph, Cassius Clay (“Un uomo che ha preso a cazzotti la sua vita”, diceva Minà), Trapattoni (futura star degli album Panini che Walter allegava all’Unità) e Abebe Bikila. Poi, la sera, tutti allo Zodiaco, dove probabilmente sentono cantare Rita Pavone, ballano il geghegè e incrociano Miles Davis che cerca di vendere ai Cugini di Campagna una palla autografata da Joe Di Maggio.

Tutto questo probabilmente avviene a pagina 70, in quel “clima da sogno” dei lontani prodromi delle estati romane, ma la dose di saccarina è già più che abbondante, e una crisi iperglicemica è sempre una cosa spiacevole. Leggetela voi, se volete: io ho un plotone da comandare.

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