02 settembre 2014 17:36

*Il regista Saverio Costanzo e l’attrice Alba Rohrwacher a Venezia, il 31 agosto. (Tony Gentile, Reuters/Contrasto) *

Oggi parliamo di film italiani. Cominciamo da Hungry hearts di Saverio Costanzo, in concorso. La pallida Mina (Alba Rohrwacher) e il pennellone Jude (Adam Driver) fanno proprio una bella coppia. S’incontrano nel bagno di un ristorante cinese di New York, si sposano e nasce un bambino. A questo punto il vago senso di minaccia che aleggia su di loro sin dall’inizio, comincia a prendere sostanza. Mina vuole proteggere il neonato dai veleni che minacciano la sua purezza e che si trovano un po’ ovunque, nel cibo come nel contatto con il mondo esterno. Quella di Mina diventa una specie di ossessione vegana in cui rapidamente si isola (neanche un medico omeopatico dalla parte sua). Il bambino, che mangia solo verdure (rape) coltivate dalla mamma, non cresce e, dicono, rischia la salute.

Non sono vegetariano, ma non sono riuscito a mollare Mina. Forse perché è una mamma italiana a New York, forse perché la suocera è un po’ inquietante e forse perché anche il marito, Jude, che a un certo punto decide che deve intervenire e dare il prosciutto al bimbo, non vorrebbe mai mollare sua moglie. E poi, io non ho grande pratica di neonati, ma quello del film sembra sano. Insomma ho adottato il punto di vista della madre pazza (sempre che Mina sia pazza e che non sia, come dice Jude, “una fase”). Di tutte le persone con cui ho parlato del film, sono l’unico che ha preso questa posizione. E in un paio di casi sono stato guardato con un po’ di sospetto. Forse sto impazzendo pure io.

Niente spoiler. Dirò soltanto che se Hungry hearts fosse finito cinque minuti prima, mi sarebbe piaciuto anche di più. Ma è tratto da un libro (che non ho letto), quindi forse è colpa del libro. Brava Alba Rohrwacher, simpatico e adatto Adam Driver, destinato a un futuro da cavaliere Jedi.

Il giovane favoloso di Mario Martone (in concorso) affronta un argomento piuttosto grande: Giacomo Leopardi. Fa piacere che un regista italiano abbia l’ambizione di affrontarlo, esponendosi a giudizi talvolta gratuitamente spietati. Ma non posso dire di sapere molto di più su Leopardi dopo aver visto il film (e non sono un dotto). Mi viene in mente quello che ha detto Elio Germano in conferenza stampa. E cioè che si è talmente immerso nelle opere del poeta durante la fase di studio del personaggio che quasi gli è dispiaciuto che fosse arrivato il momento di cominciare le riprese. Insomma ho la sensazione che più che vederlo al cine, Leopardi bisognerebbe studiarlo, naturalmente chini sul tavolino.

Con I nostri ragazzi (Giornate degli autori) Ivano De Matteo conferma di preferire storie che parlano del mondo vero. Già in Gli equilibristi raccontava senza fronzoli la discesa agli inferi di un padre separato che non arriva a fine mese con lo stipendio. Ora parla della crescente violenza che ci circonda. Non la violenza dei romanzi criminali, ma quella dovuta all’insicurezza che porta la gente a scannarsi per la luce di un semaforo, per la precedenza a un incrocio o magari per un parcheggio. Ci sono due fratelli (Alessandro Gassman e Luigi Lo Cascio), le loro mogli (Barbora Bobulova e Giovanna Mezzogiorno) e i loro ragazzi (Rosabell Laurenti Sellers e Jacopo Olmo Antinori). Barbora Bobulova è una delle attrici più affidabili in circolazione, che interpreti una pornostar o una casalinga. Gradito il ritorno di Giovanna Mezzogiorno anche se lei e Luigi LoCascio in un paio di momenti vanno sopra le righe. Ma quello che mi è piaciuto di più è Alessandro Gassman: quando la realtà dirompente e violenta entra nella nostra vita tranquilla e agiata non si sa mai chi sarà in grado di assumersi le proprie responsabilità. E lui è quello che ci convince di più.

Senza nessuna pietà di Michele Alhaique (Orizzonti) è un noir in cui Mimmo (Pierfrancesco Favino), homo faber in cantiere come nel recupero crediti, nella migliore tradizione del noir sceglie la pupa bionda (Greta Scarano, brava) a una vita tranquilla. E le cose vanno come devono andare in un noir. Ma quando sono uscito ho pensato di aver visto un film degli anni novanta. E non solo perché non ci racconta sostanzialmente niente di nuovo.

Finirei con Italy in a day (fuori concorso), ma quella di Gabriele Salvatores che ha lanciato una sorta di bando, raccogliendo migliaia di video girati in tutta Italia il 26 ottobre del 2013 e montandoli poi in un documentario di poco più di un’ora, è un’operazione che mi lascia piuttosto freddino. Meglio allora dare un occhiata a stelle e palline dispensate dalla stampa italiana e straniera e raccolte sul giornaletto quotidiano pubblicato da Ciak. Una dozzina i film presi in considerazione. Quello che ha preso più stelle in assoluto è The look of silence di Joshua Oppenheimer. In Italia il voto più basso è tre stelle e mezzo (La Nuova Venezia). Il giovane favoloso becca un’unica insufficienza dalla stampa nostrana, 2 stelle dal Foglio. Pieni voti invece (5 stelle) da Repubblica, Stampa e Manifesto. All’estero va un po’ peggio. Media del 3, con un quattro (Positif) e un due (Telegraph). Hungry hearts: la stampa estera gli accorda una media del 2,5, con il Times e la Suddeusche Zeitung che arrivano a sconsigliarlo. Meglio in Italia, dove becca una sola insufficienza piena (Il Foglio) e un quasi suff (2 e mezzo su 5, dal Gazzettino). Neanche un cinque, con Repubblica che si ferma a 4 e mezzo. Media: 3,4.

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