Jon Hopkins, Everything connected
Jon Hopkins ha proprio azzeccato il titolo del suo nuovo disco, Singularity. Oltre a suonare bene, descrive in modo efficace la sua musica: Hopkins è un’eccezione, un diamante raro nell’elettronica contemporanea. Soprattutto perché riesce a tenere insieme i due estremi del genere: quello “colto” e meditativo dell’ambient (non a caso ha collaborato con Brian Eno nel 2010) con quello della techno.
Prendiamo il brano che apre l’album, che s’intitola proprio Singularity. Comincia lento, quasi statico, e poi cresce. Sul finale arriva una specie di esplosione controllata, con un muro di bassi notevole, costruito sul campionamento di un tuono.
Everything connected è un brano più complesso, caratterizzato da un altro crescendo molto riuscito. Feel first life, dove ai sintetizzatori si affianca un coro di quindici elementi, apre la seconda parte del disco, che è invece più calma e riflessiva, con picchi di malinconia come Echo dissolve e Recovery, dov’è il pianoforte a farla da padrone.
Singularity è il disco più psichedelico di Hopkins, come ha ammesso lui stesso. In questi brani sembra di sentire il respiro della Terra, e conviene affrontarli tutti d’un fiato, come un unico flusso. Singularity non è all’altezza di Immunity, che resta uno degli album di musica elettronica più belli degli ultimi anni, ma è un nuovo saggio della bravura del producer britannico. Piccolo consiglio: se volete vederlo dal vivo, andate a Milano il 30 giugno.
Travis Scott, Kanye West e Lil Uzi Vert, Watch
La stella della trap statunitense Travis Scott stavolta ha reclutato addirittura Kanye West. Ok, ormai dal punto di vista psicologico West è fuori controllo, però musicalmente resta un genio assoluto. Kanye aggiunge al pezzo di Scott un paio di strofe dove racconta la sua dipendenza dagli oppioidi, cita il film Get out. Scappa e marca il territorio come riesce a fare solo lui.
Questo potrebbe essere il primo singolo del nuovo disco di Travis Scott, il fantomatico Astroworld di cui si parla da tempo. I pezzoni del passato tipo Butterfly effect e Goosebumps non sono facili da bissare, ma diamo tempo a Travis Scott, magari ci fa cambiare idea.
Nu Guinea, Ddoje facce
Massimo Di Lena e Lucio Aquilina vivono a Berlino ma sono nati e cresciuti a Napoli. A due anni di distanza da The Tony Allen experiments hanno deciso di tornare alle origini. Il loro nuovo disco s’intitola Nuova Napoli ed è anzitutto un grande lavoro di musicologia: i Nu Guinea infatti sono andati alle radici del suono napoletano degli anni settanta e ottanta, quello di James Senese, Tullio De Piscopo e Pino Daniele, che mescolava la tradizione napoletana con il funk, il blues, l’Africa e il soul. E l’hanno attualizzato, con un lavoro certosino. Se volete approfondire, vi segnalo questo articolo di Francesco Abazia su Rivista Studio.
In omaggio alla tradizione della loro città natale, tutti i pezzi di Nuova Napoli sono cantati in napoletano. C’è anche una poesia di Eduardo De Filippo messa in musica (Je vulesse). Il mio brano preferito è Ddoje facce, ambientato tra i vicoli del rione Sanità. Questo disco ci fa capire come suonerebbero i Daft Punk di Random Access memories se fossero nati sotto il Vesuvio e fossero stati amici di James Senese.
Dj Koze, Illumination
Sono ancora ai primi ascolti, ma l’impressione è che Knock knock di Dj Koze, producer tedesco attivo fin dalla fine degli anni ottanta e già nel catalogo della Kompakt, sia un disco notevole.
Knock knock è un album di elettronica da ballare, ma anche da ascoltare, con alcune collaborazioni molto interessanti. Mescola diversi stili, dalla musica per il cinema (Club der Ewigkeiten) ai Daft Punk di Pick up. Il pezzo che finora mi ha colpito di più è Illumination, dominato dalla voce sensuale di Róisín Murphy (ex Moloko).
Damien Jurado, Over rainbows and Rainier
A proposito di titoli azzeccati, ma quanto è affascinante quello del nuovo disco di Damien Jurado? Basta leggerlo, The horizon just laughed (l’orizzonte ha appena riso), per capire dove ci porterà il cantautore di Seattle.
L’album è un’altra gemma di folk meditativo da aggiungere alla già ottima carriera di Jurado. Canzoni semplici, che hanno dentro il cuore della musica americana, fatte di piccoli dettagli e poesia quotidiana. Canzoni scarne, che però hanno sempre uno sguardo sull’infinito. Come questa, che omaggia il monte Rainier, il vulcano dormiente dello Stato di Washington.
P.S. Playlist aggiornata, buon ascolto!
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