Nona Fernández (Luca Righi, KartuPhoto/Rosebud2)

Quando la scrittrice cilena Nona Fernández era bambina, sua madre le disse che le stelle che vediamo nel cielo sono segnali che degli omini minuscoli fanno con gli specchi. Messaggi che, come un codice morse cosmico, significano “siamo qui, non dimenticarci”. Oggi sa che questo non è vero. Tuttavia, in Voyager esplora le storie fantastiche create dagli uomini sull’infinito, l’aldilà, le stelle, i pianeti e tutta quella filigrana cosmica che abbiamo osservato dall’alba del nostro risveglio biologico. L’innesco di tutta la storia, alla maniera di un big bang interplanetario, è una risonanza magnetica del cervello di sua madre, la quale soffre di svenimenti spontanei che si scoprirà essere causati dall’epilessia. Ma prima di saperlo, Fernández vede la madre sdraiata su una barella, con degli elettrodi sulla testa che trasmettono le onde a un monitor. Lì, sullo schermo, mentre i ricordi si attivano nel cervello, si dispiega un’immagine che porta l’autrice a ripensare ai cieli notturni. Nella testa di sua madre, un universo. Galassie e sistemi luminosi che rappresentano reti neurali, regioni del cervello, funzioni mentali. Se i ricordi sono quei punti luminescenti, le dimenticanze e le omissioni, i silenzi e i primi anni dell’infanzia sono buchi neri: spazi nello spazio che guardano verso l’interno e a cui nessuno può accedere. Voyager diventa così una riflessione sulla memoria e sull’importanza di non dimenticare o, almeno, di creare meccanismi per aggirare l’amnesia causata dagli anni. Le costellazioni che governano le persone importanti nella vita di Nona Fernández entrano in un dialogo con la storia recente del Cile: l’ombra irrisolta della dittatura, le figure nefaste del dittatore e dei suoi alleati, gli assassinati e gli scomparsi, le richieste di giustizia, verità e riparazione, le tensioni generazionali. Ma c’è anche un dialogo cosmico tra le stelle e la storia personale dell’autrice: la madre, suo figlio, la stella che ha adottato e che rappresenta uno degli assassinati dalla dittatura, i volti di persone care che non sono più tra noi ma che continuano a brillare nella cartografia della memoria, come gli astri che vediamo nel cielo senza sapere che sono già morte.

Sergio Alzate, El Tiempo

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Questo articolo è uscito sul numero 1436 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati