La trama di Mammut, terzo romanzo di Eva Baltasar, segue due fili narrativi che sembrano combaciare un po’ a malincuore, come due colleghi di lavoro che non si capiscono molto bene ma si devono sopportare. La protagonista è una ragazza che aspira a essere una madre single perché non vuole che “nessun padre reclami mai la mia parte”, che si stanca del suo lavoro all’università, in un gruppo di ricerca della facoltà di sociologia, e che poi accetta impieghi poco significativi fino a quando ha un’illuminazione: “Era chiaro per me che il mondo del lavoro era un incubo”. Decide così di fuggire dalla città e si stabilisce in un villaggio, in una vecchia casa su una collina isolata, a poca distanza da un pastore. Mammut segue le vicissitudini domestiche della ragazza nel suo nuovo habitat, racconta come riesce a sopportare le avversità quotidiane. Lo stile di Baltasar oscilla tra l’effervescenza della prosa poetica e il gusto per l’aforisma trascendentale. In Mammut tutto vorrebbe essere intensità, un torrente d’immagini potenti, un continuum di colpi verbali che cercano di scuotere lo stomaco dei lettori sensibili. Ma l’autrice si perde in mezzo a una natura improbabile come le relazioni tra i personaggi o come il romanzo stesso.
Ponç Puigdevall, El País

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Questo articolo è uscito sul numero 1496 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati