“Inquieto giace il capo che porta la corona”, scriveva Shakespeare nel cinquecento. L’idea che gli incarichi di alto livello siano stressanti e richiedano un tributo pesante non è affatto nuova. Si sa che le persone corrono il rischio di crollare se sono messe sotto pressione per lunghi periodi.

Eppure, con ogni probabilità, pochi di noi comprendono fino in fondo quanta fatica e quante energie ci vogliono per guidare un paese. Soprattutto durante i periodi di crisi, con l’esposizione continua ai mezzi d’informazione e ai canali online, ogni dichiarazione e ogni mossa di un leader politico diventano oggetto di esame minuzioso e generano una quantità enorme di commenti. Nel caso dei post pubblicati su Jacinda Ardern, che il 19 gennaio si è dimessa da prima ministra della Nuova Zelanda ed è stata sostituita dal nuovo leader del partito laburista Chris Hipkins, l’aspetto inquietante era il loro tono offensivo, violento, sessista e misogino.

Anche se Ardern non si è soffermata su questo aspetto quando si è dimessa, è plausibile che l’odio online abbia giocato un ruolo. Soprattutto perché anche il marito e la figlia erano diventati destinatari degli attacchi.

I successi

Le emergenze sono sempre considerate il banco di prova per misurare le competenze e il carattere di un leader. Obbligano a prendere decisioni difficili, a volte su questioni di vita o di morte. Costringono ad agire in tempi rapidi, spesso senza avere le informazioni necessarie per prevedere le conseguenze delle proprie scelte.

Nel corso del suo mandato da prima ministra, Ardern ha affrontato una crisi dopo l’altra, dimostrando ogni volta forza e carattere. Il modo in cui ha reagito agli attacchi terroristici del 2019 alla moschea e al centro islamico di Christchurch, in cui sono state uccise 51 persone, ha suscitato l’ammirazione del mondo. Per la compostezza e per la compassione dimostrate, ma anche per la determinazione nel bandire le armi d’assalto e le semiautomatiche, con l’obiettivo di scongiurare altre stragi nel paese.

Anche per come ha gestito, sempre nel 2019, l’eruzione del vulcano Whakaari a White island, che ha provocato 22 vittime, Ardern ha dimostrato di avere l’intuito giusto per il comando: saper stare vicino a chi è sopravvissuto a un evento così sconvolgente può fare la differenza. Combinare empatia e gentilezza con il coraggio di prendere decisioni difficili è stata una delle sue qualità distintive.

Aspettative irrealistiche

Nel corso della prima ondata della pandemia Ardern ha preso molte decisioni coraggiose ed è riuscita a farle accettare dall’opinione pubblica, arginando il contagio e salvando così moltissime vite. Quando sono emerse le varianti più contagiose ha dimostrato la flessibilità necessaria per adattare le politiche sanitarie al nuovo contesto.

Ovviamente ha commesso degli errori e alcune sue decisioni sono state contestate. Sarebbe irrealistico aspettarsi il contrario. Del resto, governare significa anche dover fare scelte difficili e a volte divisive. Nessun leader è onnipotente, soprattutto in un regime democratico e in un paese connesso al resto del mondo.

L’ultima crisi con cui Ardern si è dovuta confrontare è stata l’aumento del costo della vita, un processo in larga parte causato da fattori esterni, che vanno oltre il controllo di un capo di governo. La situazione della Nuova Zelanda è migliore rispetto a quella di molti altri paesi, ma per una parte dell’opinione pubblica questo non conta.

La crescente impopolarità dell’ex premier è in parte dovuta al bisogno di trovare un capro espiatorio e alle aspettative irrealistiche rispetto a quello che un leader può fare. Ma le tante critiche sessiste e misogine non possono essere ignorate.

Il sessismo comincia con la lettera c del diminutivo “Cindy”, usato per mettere in dubbio l’autorità di una prima ministra eletta per guidare il paese, e culmina con la c di uno degli insulti più offensivi che si possa rivolgere a una donna in inglese.

Secondo il Disinformation project, un gruppo di ricerca indipendente che studia la disinformazione in Nuova Zelanda, l’uso di quella parola s’inserisce in un discorso più ampio che denigra altri aspetti dell’identità femminile, fino a contemplare lo stupro e l’omicidio. È un comportamento ingiustificabile e il paese dovrà fare i conti con il fatto che Ardern lo abbia subìto. Le diverse opinioni politiche non possono essere usate come scusante. È inaccettabile sostenere che sono state le sue decisioni a provocare reazioni violente: è la stessa logica invocata da stupratori e assassini.

Jacinda Ardern è la terza prima ministra neozelandese. Il soffitto di cristallo per questo ruolo è ormai infranto. Oggi anche in parlamento il numero delle donne è pari a quello degli uomini. Tuttavia, il sessismo sperimentato da Ardern dimostra che la parità per le donne al comando è ancora lontana. ◆ gim

Da sapere
Le reazioni della stampa

◆ “Le donne riescono a fare tutto?”. Con questo titolo, poi ritirato perché di “sconcertante sessismo”, la Bbc ha dato notizia delle dimissioni della premier neozelandese raccontando il difficile equilibrio tra maternità e politica. “Siamo nel 2023!”, commenta Arwa Mahdawi sul Guardian. “Abbiamo già passato almeno un decennio a parlare del fatto che nessuno chiede mai ai padri che lavorano se riescono a fare tutto”. El País riconduce all’esercizio della compassione, intesa nel significato di “patire assieme”, la carriera di Jacinda Ardern, che questa volta ha scelto di ascoltare “se stessa e la sua famiglia”. “Le sue parole entreranno nella storia della politica internazionale”, commenta l’esperto di comunicazione politica Florian Silnic–ki su Le Figaro, sottolineando come ammettere di non avere più abbastanza energia riveli i sacrifici richiesti dall’impegno politico, un tema “di cui oggi si parla troppo poco”. Ma in Nuova Zelanda la polemica è soprattutto sulla violenza verbale che ha dovuto subire l’ex premier in quanto donna al potere. Se il New Zealand Herald afferma che l’aggressività è tale da giustificare un programma di protezione per Ardern anche dopo le sue dimissioni, il sito d’informazione Newsroom chiede “un momento di riflessione nazionale” perché queste vicende “rivelano molto di noi”.


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Questo articolo è uscito sul numero 1496 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati