Il 15 aprile 2023 è scoppiata una guerra tra l’esercito regolare del Sudan, guidato dal generale Abdel Fattah al Burhan, e le Forze di supporto rapido (Rsf) del comandante Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti. È un fatto molto grave, un passo verso la distruzione dello stato sudanese, che espone dei civili innocenti alla furia di un conflitto sanguinoso.

Ma chi sono i contendenti? Cosa vogliono e perché la situazione è precipitata fino a questo punto? La fazione principale è formata da un gruppo di militari golpisti islamisti che si sono alleati con il generale Al Burhan dopo il colpo di stato del 25 ottobre 2021, che ha visto tornare alla guida del paese alcune personalità legate al vecchio regime di Omar al Bashir.

I componenti di questo gruppo non hanno una cultura democratica e finora hanno ostacolato ogni processo politico in quel senso. Hanno fatto pressioni su Al Burhan affinché mandasse a monte l’accordo quadro firmato nel dicembre 2022 con i rappresentanti della società civile, usando come pretesto l’integrazione delle Rsf nell’esercito. Così, sono riusciti a scatenare una guerra. Quella a cui assistiamo è una lotta che minaccia la sicurezza e la stabilità del Sudan, e che scatena contro i suoi abitanti la forza distruttrice di una competizione per il potere tra un gruppo d’islamisti corrotti – respinti dalle masse sudanesi con una rivoluzione popolare – e una milizia, le Rsf, che loro stessi avevano creato. Non bisogna farsi ingannare dai racconti propagandistici su un esercito patriottico schierato contro gruppi armati nemici del popolo.

Un campo minato

La questione più urgente è mettere fine alle violenze per proteggere la vita e le proprietà delle persone. In seguito, si dovrà riprendere il processo democratico cercando, allo stesso tempo, di rimediare al problema della coesistenza di esercito e milizie, all’interno di un progetto nazionale condiviso su solide basi costituzionali e legali. Solo in questo modo i sudanesi potranno assicurarsi una via d’uscita dal campo minato in cui il vecchio regime li ha spinti.

Per raggiungere questo risultato pacificamente, bisogna portare avanti, passo dopo passo, obiettivi complessi come la riforma dell’esercito e degli apparati di sicurezza, e la smobilitazione delle milizie. Quando sono scoppiati gli ultimi scontri, si sono sentiti molti discorsi sul fatto che le Rsf erano formazioni ribelli e dovevano essere smantellate al più presto. Ma il generale Al Burhan non aveva detto niente in passato, quando queste formazioni erano sue alleate.

Imparare dal passato

Le Rsf sono unità paramilitari, in cui le posizioni di potere si conquistano su base etnica. Hanno enormi interessi economici perché controllano importanti risorse nazionali, in particolare l’oro. Qualsiasi progetto di transizione democratica in Sudan deve avere come presupposto l’unificazione delle forze armate. Ma un obiettivo così importante non può essere portato avanti da generali che vogliono solo impadronirsi del potere.

Ora lo sforzo più importante per il popolo sudanese è fermare la guerra. Quando il Sudan sarà uscito da questo tunnel, le forze vive della società dovrebbero impegnarsi a ricostituire un fronte per la pace, la democrazia, lo sviluppo e la giustizia, un fronte che impari dagli errori del passato e che riesca a imporsi contro tutte le forme di tirannia e di corruzione.

Non sappiamo chi sarà il vincitore nel conflitto in corso, ma è certo che porterà a una nuova era di dispotismo. Se questa era durerà a lungo, lo stato sudanese potrebbe disintegrarsi. Sappiamo anche che, davanti a due poteri militari ugualmente forti, ogni colpo di stato è destinato a fallire. Quindi, perché la vicenda abbia un esito pacifico, serve un accordo di transizione verso la democrazia. I rappresentanti del vecchio regime devono capire che dopo la rivoluzione non hanno altra scelta che accettare la democrazia. Questo significa mettere in piedi un meccanismo per la giustizia di transizione, per riformare l’esercito e per togliere definitivamente il potere al vecchio regime.

Ora che infuria la guerra, il Sudan ha davanti uno dei momenti più bui della sua storia. Serve la mobilitazione di tutti i suoi cittadini per la pace e la libertà. È uno sforzo che i popoli liberi del mondo dovrebbero sostenere. ◆ gim

Al Taghyeer è un sito sudanese indipendente, creato da un gruppo di giornalisti in difesa dei diritti umani e della democrazia.

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Questo articolo è uscito sul numero 1508 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati