Il generale Mohamed Hamdan Dagalo, meglio conosciuto come Hemetti, è il comandante delle Forze di supporto rapido (Rsf). È un personaggio chiave nel conflitto in corso, così come lo è stato in altri momenti cardine della storia recente del Sudan. Le Rsf sono guidate da arabi del Darfur noti come janjaweed. Originari della periferia occidentale del Sudan, in poco più di dieci anni sono diventati il principale gruppo di potere a Khartoum.

L’ascesa di Hemetti è una dimostrazione pratica d’imprenditoria politica, data da uno specialista della violenza. La condotta e l’impunità (per ora) del generale sono indice del fatto che la politica di tipo mercenario caratteristica delle periferie sudanesi è arrivata fino nella capitale. Hemetti è originario delle regioni più remote del Sudan ed è considerato estraneo ai circoli politici di Khartoum. Ma ha saputo usare abilmente il suo acume commerciale e la sua capacità militare per trasformare le Rsf in un’organizzazione più potente dello stato.

Dopo che gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita erano intervenuti militarmente nello Yemen nel marzo 2015, l’allora presidente sudanese Omar al Bashir strinse con loro un accordo per inviare anche le sue truppe nel paese in guerra. Uno dei comandanti dell’operazione era il generale Abdel Fattah al Burhan (capo dell’attuale giunta militare). La maggior parte dei combattenti, però, era delle Rsf guidate da Hemetti, nelle cui tasche arrivarono parecchi soldi.

Due anni dopo queste forze presero il controllo delle miniere d’oro artigianali del Jebel Amer, nel Darfur (l’oro è il principale prodotto di esportazione del Sudan). A quel punto Hemetti controllava le due attività più redditizie del paese. Quello adottato da Hemetti è un modello di mercenarismo al servizio dello stato, che è molto familiare a chi conosce la politica del Sahara. Il defunto presidente del Ciad, Idriss Déby Itno, fece lo stesso “affittando” le sue forze speciali a Francia e Stati Uniti per operazioni di controinsurrezione.

D’altro canto, il ricorso ai paramilitari per combattere le guerre, in patria e all’estero, ha indebolito l’esercito sudanese. Che resta in possesso di grandi proprietà immobiliari a Khartoum, imponenti carri armati, pezzi d’artiglieria e aerei, ma ha poche unità di fanteria ben addestrate.

La tempesta

Finora tutti i leader sudanesi venivano dall’area di Khartoum e dalle vicine città sul Nilo. Con un’eccezione: nel 1885 un comandante arabo del Darfur, Khalifa Abdallah al Taaysh, conquistò la capitale e instaurò un regime tirannico. Le élite sudanesi di oggi sono terrorizzate all’idea che un fatto simile possa ripetersi. Hemetti è il volto di quell’incubo, il primo leader in centovent’anni che non viene dall’establishment. Quando il regime sudanese seminò vento, finanziando i janjaweed in Darfur nel 2003, non si aspettava di raccogliere tempesta nella capitale. In realtà i semi erano stati gettati molto prima. I governi precedenti avevano aizzato le popolazioni delle regioni periferiche l’una contro l’altra.

Hemetti oggi è la tempesta. Ma la sua ascesa è anche, indirettamente, la rivincita dei gruppi storicamente emarginati. Il problema è che l’uomo che si presenta come il loro paladino è un comandante spietato, estremamente abile nel giocare sul mercato internazionale della sicurezza. ◆ fsi

Alex De Waal è un esperto africanista. Dirige la World peace foundation alla Tufts university, negli Stati Uniti.

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Questo articolo è uscito sul numero 1508 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati