I brutti romanzi o i brutti dipinti si dimenticano velocemente. Ma con i film brutti è tutta un’altra cosa. Sono tanti quelli fatti male che diventano oggetti di studio, di rassegne e, nel migliore dei casi, di culto. Nella sua nuova raccolta di saggi, Junk film, la scrittrice e critica cinematografica Katharine Coldiron cerca di esaminare questo curioso fenomeno in modo sagace e sardonico. Tra le varie spiegazioni che dà c’è il fatto che i film brutti “ribaltano l’aspettativa del pubblico”, ovvero si allontanano così tanto dai canoni da diventare totalmente imprevedibili. Un altro motivo per cui vanno visti è più istruttivo: diventano una guida su quello che i registi non devono fare e hanno così tanti errori che aiutano ad apprezzare i film buoni. E poi c’è l’umorismo involontario, forse il più crudele dei motivi per cui una brutta pellicola può piacere. Spesso però gli autori di queste opere finiscono per guadagnarsi l’amore del pubblico: più sono convinti di creare un capolavoro, più il loro fallimento diventa eroico e degno di attenzione. È l’assenza di cinismo a conquistare. The Economist

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Questo articolo è uscito sul numero 1512 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati