Secondo l’ufficio federale di statistica tedesco, nel 2019 sono stati macellati circa 760 milioni di animali. In Europa otto miliardi, ogni anno. “Un numero microscopico riesce a sfuggire a queste statistiche, a volte in modi avventurosi”, dice il fotografo russo Nikita Teryoshin, che nel 2021, durante la pandemia, ha viaggiato in auto in Germania e in Austria per andare a ritrarre alcuni di quelli che ora vivono in fattorie e rifugi.

“Ho scelto delle strutture piccole, in cui gli animali sono lasciati liberi. Accettano i visitatori, ma gli attivisti insegnano alle persone a rispettarli”, racconta Teryoshin.

Negli allevamenti intensivi gli animali vivono in gabbie di ferro o in piccoli recinti e non hanno abbastanza spazio per muoversi, volare o saltare. Oppure sono addossati gli uni agli altri, esposti così al contagio di varie malattie. “Subiscono mutilazioni e abusi, che segnano in modo profondo la loro salute fisica e mentale”, dice il fotografo. Le anatre, per esempio, sono costrette a mangiare cibi grassi per aumentare il volume del loro fegato. Alle pecore la lana non smette mai di crescere, quindi non riescono a sopravvivere se non sono tosate regolarmente da parte degli allevatori. Alle mucche sono tagliate le corna per evitare che si feriscano tra loro e che facciano male agli allevatori. “Non vedono e non toccano mai il prato disegnato sulle confezioni del latte che producono”. Le scrofe sono inseminate artificialmente e partoriscono in media due volte all’anno. Quando hanno tre anni sono mandate al macello.

Wolfgang era in un allevamento di tacchini in Austria. È stato salvato dagli attivisti del rifugio Hof-Sonnenweide, in Austria, nel 2020.

“La maggior parte di questi animali non raggiunge mai la durata media della vita della specie. Di solito finisce in un mattatoio o muore giovane a causa di malattie dovute al sovraffollamento negli allevamenti intensivi”, dice Teryoshin. “Gli si assegna un numero, mai un nome. È un metodo usato per evitare che chi compra la carne o i latticini si confronti con questa realtà”.

Lilli è un maialino pancia a tazza. Ha vissuto due anni in un recinto piccolissimo. Ora si trova nel rifugio Land der Tiere, costruito in un vecchio bunker a Vellahn, in Germania.

Per il progetto, intitolato Animal escape plan, Nikita Teryoshin ha scelto di ritrarre gli animali che vivono nei rifugi non come vittime degli orrori degli allevamenti intensivi, ma come degli eroi, riusciti a fuggire e a sopravvivere. Ogni foto è accompagnata dal nome dell’animale e dalla sua storia: da dove è arrivato, la sua età e il carattere.

Cello (un tempo chiamato Challenger) è un cavallo allevato per i tornei, nato il 18 luglio 1995. La sua carriera è stata interrotta quando ha compiuto diciotto anni, perché doveva assumere regolarmente dei farmaci. A causa dei continui spostamenti per le gare soffre di enfisema e ha la malattia di Cushing. Ora Cello è curato con cortisone e ossigenoterapia dagli attivisti del centro per la protezione degli animali Hof Butenland a Butjadingen, in Germania. È sensibile alla luce e per questo è coperto da un mantello zebrato.
Winfried. Ha trascorso i primi sette anni della sua vita nel laboratorio di un’università. Nel 2017, quando i ricercatori non hanno più ricevuto fondi, è stato affidato insieme al padre al rifugio Hof Butenland. È quasi sordo e riesce a vedere solo le ombre.
Joey nel rifugio Land der Tiere, in cui è stata trovata. È un’anatra muta. Probabilmente è scappata da uno degli allevamenti di anatre della zona.
Flausch e Lisa, nel rifugio Land der Tiere, a Vellahn, in Germania. Entrambe erano cavie
in un laboratorio.

Nikita Teryoshin è un fotografo russo natonel 1986. Vive a Berlino, in Germania. Il progetto Animal escape plan è diventato un libro pubblicato dalla casa editrice indipendente Pupupublishing.

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Questo articolo è uscito sul numero 1516 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati