A quasi due settimane dalla fallita marcia su Mosca del gruppo Wagner, la sorte del suo leader Evgenij Prigožin (nella foto) è ancora avvolta nel mistero. In base all’accordo mediato dal presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko, che il 24 giugno aveva messo fine alla clamorosa insurrezione dell’organizzazione paramilitare quando le sue forze erano ormai a meno di duecento chilometri della capitale, Prigožin avrebbe dovuto stabilirsi in Bielorussia in cambio dell’archiviazione di tutte le accuse a suo carico, e i suoi miliziani avrebbero potuto scegliere se deporre le armi, arruolarsi nell’esercito regolare russo o seguirlo nell’esilio. Da allora l’ex “cuoco di Putin” non è più stato visto in pubblico, ma il 3 luglio ha diffuso su Telegram un messaggio audio in cui descrive la sua “marcia della giustizia” come un tentativo di combattere i traditori e mobilitare la società russa, aggiungendo: “Presto vedrete le nostre prossime vittorie al fronte”. Secondo un’inchiesta del Financial Times nei giorni scorsi l’aereo personale di Prigožin ha viaggiato più volte tra Minsk, Mosca e San Pietroburgo. Le autorità russe hanno cominciato a smantellare le molte attività economiche legate alla Wagner, tra cui il gruppo editoriale Patriot, che controlla diversi giornali e siti d’informazione, oltre alle “fabbriche di troll” accusate di aver cercato di interferire nelle elezioni negli Stati Uniti e in diversi paesi europei. Ma il quotidiano britannico ha contattato gli uffici di reclutamento della Wagner, che risultano ancora attivi e offrono “opportunità di lavoro” in Ucraina, precedute da tre settimane di addestramento in un campo nel sud della Russia. Un altro personaggio eccellente scomparso dalla scena dopo la rivolta è il generale Sergej Surovikin, ex comandante delle operazioni militari in Ucraina: secondo alcune fonti russe sarebbe stato arrestato perché sospettato di aver sostenuto l’insurrezione di Prigožin. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1519 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati