L’ora di greco ripercorre in modo sottile due vite che si incrociano in una classe di Seoul: quella di un uomo sulla trentina che insegna greco antico e sta perdendo la vista e quella di una sua studente, giovane madre che ha da poco perso la capacità di parlare (per la seconda volta), oltre ad aver intrapreso una lunga battaglia per la custodia del figlio. L’insegnante, la cui storia è raccontata attraverso lettere e monologhi in prima persona, usa le parole in modo nostalgico, come se cercasse di conservare un piccolo angolo di sole nella sua vita. Scrive con un mormorio di disperazione a una donna che un tempo amava, e forse ama ancora, prestando particolare attenzione agli aspetti visivi dei ricordi che si fondono con le fantasie. Il libro alterna il suo punto di vista a quello della studente a cui sono dedicati capitoli scritti in terza persona. Questi capitoli rivelano una ragazza malata di cuore che cerca di esprimersi di nuovo senza la sua voce. Ciò che desidera comunicare non sono i sentimenti e le idee, ma piuttosto la sensualità della parola che viaggia attraverso il corpo. Gli scritti di Platone sono il soggetto delle lezioni di greco a cui fa riferimento il titolo, in particolare le teorie sulle forme ideali di cui gli esseri umani vedono solo le ombre. I protagonisti di Han, ognuno a modo suo, s’immaginano come se stessero rovistando tra le ombre della scrittura e della parola ideali.
Hannah Gold, The Washington Post

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Questo articolo è uscito sul numero 1538 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati