Negli anni 2000, subito dopo il sensazionale ciclo di sinfonie di Schumann diretto da Daniel Barenboim con la Staats­kapelle di Berlino, arrivò quest’altra integrale, con un’interpretazione di segno opposto. Possiamo ascoltarle entrambe per ricevere prospettive radicalmente diverse sul compositore tedesco. Zinman seguiva con attenzione gli studi sull’esecuzione storica e li metteva in pratica con risultati eccellenti. Nel complesso, i tempi sono rapidi ma mai affrettati: i movimenti esterni della prima sinfonia esplodono con freschezza primaverile, lo scherzo della seconda fa pensare a Mendelssohn, mentre i finali della terza e della quarta non s’impantanano mai. Non fate l’errore di vedere la rapidità come inflessibilità metronomica e la chiarezza come freddezza. La cosa meravigliosa di Barenboim e di Zinman è che hanno punti di vista totalmente diversi ma ugualmente validi, che giustificano un altro sguardo a questo repertorio così spesso registrato. Questo livello di eccellenza serve solo a rinnovare la nostra fiducia nella vitalità dei classici e nella capacità degli interpreti di confrontarsi con le grandi registrazioni del passato.
David Hurwitz, ClassicsToday

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Questo articolo è uscito sul numero 1556 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati