La tratta degli schiavi nell’oceano Atlantico non ha portato solo alla colonizzazione del continente africano, ma ha anche condotto a continui sforzi per colonizzare le menti e la coscienza della diaspora africana. A Trinidad e Tobago il ritmo caraibico del calypso è emerso come un modo per gli schiavi di comunicare, deridere i loro padroni e mantenere un senso d’identità. Dopo l’abolizione della schiavitù nel 1838, Laventille fu abitata da molti ex schiavi e diventò un centro di resistenza culturale. È qui che Oluko Imo è nato nel 1951. Il cantante e polistrumentista sarebbe diventato un faro della resistenza culturale, un artista socialmente impegnato la cui musica sarebbe servita da atto di sfida contro la cancellazione dell’africanità della diaspora. Unendo l’eredità del calypso con l’afro­beat e il jazz della Nigeria, Imo esplorò e rivendicò il legame tra Trinidad e il suo popolo, quello yoruba, che ha radici nell’Africa occidentale, e diventò un collaboratore di Fela Kuti, di cui fu amico. Quando Imo è morto nel 2007, nel suo paese natale era relativamente sconosciuto. “Anche se non c’è più, il messaggio che ha trasmesso in tutte le sue canzoni e nelle sue composizioni è ancora significativo”, dichiara la vedova, Grace Imo. “La sua musica, come quella di Fela, è un’arma”. Si può dire con certezza che, dopo tutti questi anni, il messaggio di Imo resta più importante che mai.
Megan Iacobini de Fazio, Bandcamp Daily

Oluko Imo (Bandcamp)

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Questo articolo è uscito sul numero 1557 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati