Nel 2025 ci sarà il trentesimo anniversario della dichiarazione di Pechino, un momento storico per i diritti delle donne: 189 stati firmarono il testo conclusivo della conferenza e la first lady degli Stati Uniti Hillary Clinton affermò che “i diritti delle donne sono diritti umani”. Ma durante le celebrazioni la commissione delle Nazioni Unite incaricata di promuovere e valutare i progressi sull’uguaglianza di genere sarà guidata dall’Arabia Saudita, un paese noto per gli abusi nei confronti delle donne.

La situazione della parità di genere, comunque, preoccupa un po’ ovunque. La Cina ha invitato le donne a “sostenere i valori della famiglia” e ha represso le campagne femministe; gli Stati Uniti hanno cancellato il diritto costituzionale all’aborto; in Afghanistan, dove le donne hanno già un accesso limitato all’istruzione, al mondo del lavoro e agli spazi pubblici, i taliban hanno annunciato il ritorno della condanna a morte per lapidazione. I politici del Gambia vogliono cancellare il divieto delle mutilazioni genitali femminili e la Corea del Sud vuole eliminare il ministero per l’uguaglianza di genere.

Le donne soffrono in modo particolare le conseguenze della fame, che ha provocato un aumento della violenza sessuale, dello sfruttamento e dei matrimoni infantili. Secondo le Nazioni Unite, al ritmo attuale serviranno tre secoli per cancellare le leggi discriminatorie. All’origine della lentezza del cambiamento c’è soprattutto la generale mancanza d’impegno per difendere l’uguaglianza di genere. Troppi governi hanno dimenticato il messaggio della conferenza di Pechino, cioè che i bisogni delle donne sono una componente fondamentale dei diritti umani. I diritti sessuali e riproduttivi e la libertà di movimento spesso sono una questione di vita o di morte. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1557 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati