Alia Trabucco Zerán (Sergio Trabucco, RCW Literary Agency)

Quando finiscono le pagine, quando il libro si chiude, quando non c’è più una sola lettera da leggere, la voce di Estela è ancora lì e risuona nella mente di chi ha letto Pulita e non riesce a farla tacere. Estela, domestica in una famiglia di professionisti benestanti di Santiago del Cile, prende la parola e non molla la presa perché la scrittrice Alia Trabucco Zerán (Santiago del Cile, 1983) è soprattutto un’autrice di voci. Scritto come un lungo monologo, il romanzo comincia quando la bambina di casa, Julia, annega. Quella tragedia segna il ritmo da thriller di tutto il libro in cui la domestica spiega quella morte e racconta come ci si è arrivati. La narratrice racconta anche la sua vita da contadina nel sud del paese, l’idea di lavorare solo per un po’ nella capitale e le complicazioni che le impedirono di abbandonare quel destino servile per tornare alla sua vita di prima. Pulita è il terzo libro di Alia Trabucco Zerán, che in passato era un’avvocata specializzata in diritti umani finché non si è arresa, intrappolata dalla letteratura. Il suo primo romanzo, La sottrazione, è stato un debutto folgorante che l’ha inserita nella lista del Man Booker international prize e le è valso il premio per il miglior romanzo inedito del ministero della cultura cileno. Quel romanzo ha causato anche un terremoto nel suo paese perché dava voce ai figli della dittatura di Augusto Pinochet con irriverenza e l’irriverenza non si sposa bene con l’inamidata vergogna che questa memoria storica è solita vestire. Poi, nel 2019, è arrivato il saggio Las homicidas, che dà voce a donne che diventano assassine per evadere dallo spazio domestico in cui sono confinate. “Durante la scrittura di Pulita”, racconta l’autrice, “ho fatto molta attenzione ai dettagli, niente di più. E all’interno di quella famiglia benestante ho visto proliferare scene di una violenza minima ma brutale. La fotografia di una domestica in uniforme che tiene l’ombrello per fare ombra al suo datore di lavoro sulla spiaggia o l’insolita, indignata discussione su un’altra domestica che aveva usato una piscina privata e poi la questione del personale segregato durante la pandemia… non è stato difficile immaginare una famiglia normale e vedere quanta violenza consideriamo accettabile. Nella normalità c’è sempre qualcosa di terrificante”. Débora Campos, Revista Ñ

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Questo articolo è uscito sul numero 1557 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati