Halima al Kahlout, nata nel 1994, artista

Le difficoltà della vita quotidiana nella Striscia di Gaza erano sempre presenti nella mente di Al Kahlout. Convogliava quelle esperienze nella sua arte, realizzando dipinti, murales e sculture che esploravano temi come il diritto alla vita e alle cure mediche a Gaza, o l’emarginazione delle donne. Per una mostra aveva realizzato gigantesche sculture in cartone di oggetti quotidiani e attrezzi taglienti, “per dire che questi strumenti possono farci risparmiare tempo e fatica, ma possono essere dolorosi se usati contro le persone”. Questa violenza immaginata, spiegava, non era distante dalla realtà della vita di Gaza sotto occupazione.
Al Kahlout era agli inizi della sua carriera ma sognava in grande e voleva mostrare la sua arte al mondo. “Stiamo perdendo giorno dopo giorno alcuni degli artisti più creativi e dotati, che hanno portato bellezza, equilibrio e guarigione alla grande comunità di Gaza sotto assedio”, ha scritto il rettore di un’università dove Al Kahlout aveva dipinto il suo ultimo murale, dopo aver saputo della sua morte in un bombardamento israeliano il 29 ottobre.

Refaat Alareer, 1979, poeta e insegnante

Refaat Alareer, pilastro della comunità culturale di Gaza, è ricordato dai suoi studenti come un maestro brillante e un poeta appassionato che adorava Shakespeare. Docente di letteratura inglese e scrittura creativa all’università islamica di Gaza, considerava la lingua inglese “un veicolo per la liberazione e l’emancipazione”, ha ricordato in un tributo su The Nation lo scrittore Jehad Abusalim. Alareer era stato tra i fondatori di We are not numbers, un progetto che affiancava ai giovani scrittori palestinesi autori stranieri esperti perché gli facessero da mentori. Aveva curato due volumi in inglese: Gaza writes back (2014) e Gaza unsilenced (2015). Critico accanito di Israele, Ala­reer aveva perso un fratello e altri familiari in un attacco israeliano nel 2014. Aveva dichiarato alla Bbc che l’attacco di Hamas del 7 ottobre era “legittimo e morale”, parole che l’emittente britannica aveva condannato come offensive.
Alareer è stato ucciso da un attacco sulla città di Gaza il 7 dicembre, insieme a diversi familiari. Lascia una moglie e sei figli. La sua ultima poesia, If I must die, recitata dall’attore scozzese Brian Cox, ha avuto una vasta diffusione sui social network.

Sirin Mohammed al Attar, 1984, ginecologa e ostetrica

Sirin al Attar lavorava per l’Unrwa, che fornisce servizi sanitari, educativi e di altro tipo ai rifugiati palestinesi nella Striscia di Gaza. È una degli almeno 165 dipendenti dell’agenzia delle Nazioni Unite uccisi nella guerra finora. Laureata all’università Al Quds di Gerusalemme, aveva esercitato la sua professione a Gaza, in Giordania e in Arabia Saudita, impressionando i colleghi per la sua dedizione e la sua empatia verso i pazienti. “È stata una dei medici migliori, più straordinari e umani che io abbia mai incontrato e con cui ho avuto a che fare”, ha detto Ghada al Jad­ba, direttrice del programma sanitario dell’Unrwa a Gaza.
Attar è stata uccisa l’11 ottobre con una delle sue tre figlie in un bombardamento sul campo profughi di Al Bureij nella zona centrale della Striscia.

Ayat Khaddoura, 1996, video blogger

“Credi solo in te stessa”, aveva scritto Khaddoura sulla sua pagina Facebook. Totalmente a suo agio davanti alla telecamera, prima della guerra si era fatta un nome come video blogger, pubblicando post sugli argomenti più vari, dalle fragole palestinesi alle donne in politica. Quando Israele aveva lanciato la sua offensiva, aveva cominciato a documentare per i suoi follower di tutto il mondo arabo la dura vita dei palestinesi sotto i bombardamenti. Vivendo nel nord di Gaza, dove Israele inizialmente concentrava i suoi attacchi più pesanti, Khaddoura pubblicava video sempre più tesi mentre i “rumori terrificanti” della guerra si avvicinavano a casa sua.
Il 20 novembre, in quello definito tra le lacrime come il suo probabile ultimo video, raccontava che le scene intorno a lei erano “estremamente terrificanti”. Khaddoura e molti altri suoi familiari sono stati uccisi quel giorno.

Hammam Alloh, 1987, nefrologo

Alloh si era formato come nefrologo dopo aver constatato il disperato bisogno di specialisti dei reni a Gaza, dove era nato. Dopo aver studiato all’estero per quattordici anni, da due era tornato a casa e lavorava all’ospedale Al Shifa, il più grande del territorio. Con lo scoppio della guerra, Alloh lavorava 24 ore su 24. In un’intervista a Democracy Now, a chi gli chiedeva perché non scappava verso sud in un momento in cui l’esercito israeliano cominciava a cacciare i civili dal nord della Striscia, aveva risposto: “Se io me ne vado, chi curerà i miei pazienti? Credete che abbia studiato medicina per pensare solo alla mia vita?”.
L’11 novembre Alloh era andato dai suoceri per riposare tra un turno e l’altro. È stato ucciso quando un attacco aereo israeliano ha colpito la casa.

Hiba Abu Nada, 1991, poeta

Con l’inizio della guerra, Abu Nada aveva fatto quello che faceva sempre: si era messa a scrivere. Pubblicava frammenti delle sue nuove poesie e battute sui social network, istantanee di una vita sotto assedio. I suoi post giravano molto, attirando l’attenzione internazionale mentre a Gaza era già nota come poeta e scrittrice. In una delle sue ultime poesie pubblicate su X prima di essere uccisa aveva scritto in arabo: “La notte della città è buia, se non per il bagliore dei razzi; silenziosa, se non per il suono delle bombe; terrificante, se non per il conforto delle preghiere; nera, se non per la luce dei martiri. Buonanotte Gaza”.
Hiba Abu Nada è stata uccisa il 20 ottobre in un bombardamento israeliano sulla sua casa di Khan Yunis. Aveva 32 anni. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1557 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati