Più di quattrocento anni fa, nella cittadina olandese di Middelburg, un padre e un figlio inventarono un oggetto che avrebbe cambiato la storia, ma che loro considerarono un disastro. Armeggiando con le lenti di vetro, Hans e Zacharias Janssen inventarono il microscopio. Ma non lo fecero apposta.
Gli Janssen erano all’avanguardia in un settore nuovo e altamente redditizio: la produzione di occhiali da lettura. Mentre cercavano di realizzare il paio di occhiali perfetto, scoprirono che potevano ingrandire gli oggetti allineando due lenti in un tubo cilindrico. Rimasero sbalorditi nel vedere che la combinazione di due lenti ingrandisce molto più di quanto non faccia una lente sola. Ma la visione era sfocata e il dispositivo troppo ingombrante per i clienti, quindi misero da parte la loro bizzarra scoperta.
La macchina per ingrandire degli Janssen restò ignorata per quasi cent’anni prima che qualcuno la usasse. Antonie van Leeuwenhoek, un commerciante di tessuti olandese con un’istruzione elementare, costruì alcuni microscopi fatti in casa per uno scopo banale: controllare la qualità dei costosi tessuti che aveva acquistato dall’estero. Ma ben presto rivolse la sua attenzione anche al mondo che lo circondava, puntando i microscopi verso l’acqua del pozzo, la muffa, le api, i pidocchi, il lievito, le cellule ematiche, il latte materno (quello di sua moglie) e lo sperma (il suo). Ovunque volgesse lo sguardo, quegli strumenti rivelavano uno strano mondo di esseri che vivevano in ogni angolo del nostro ambiente, ma erano invisibili a occhio nudo.
All’inizio Van Leeuwenhoek tenne segrete le sue scoperte per paura del ridicolo. Quando poi rivelò ciò che aveva visto, la raffinata società olandese disdegnò la sua strana propensione per l’ingrandimento delle sostanze corporee. Molti semplicemente si rifiutarono di credere all’esistenza di questi “animaluncoli”. Nonostante ciò, Van Leeuwenhoek scrisse centinaia di lettere alla Royal society di Londra, che – dopo la diffidenza iniziale e la visita di una scettica delegazione scientifica – alla fine accolse le sue scoperte. Le ricerche dell’umile mercante furono pubblicate insieme a quelle di sir Isaac Newton nella rivista dell’associazione.
Il nuovo settore dell’osservazione microscopica affascinò presto scienziati e filosofi. I microscopi si diffusero come una sorta di protesi visive, occhi artificiali che aiutavano l’umanità a vedere cose nuove in modo nuovo, gettando le basi per scoperte sorprendenti. Lo studio del mondo microscopico rinnovò l’interesse per l’atomismo – un’antica teoria secondo cui ogni cosa è composta da minuscole particelle fondamentali – e avrebbe anche fornito nuovi modi per comprendere le infezioni e le malattie.
Come sostiene la storica della scienza Catherine Wilson nel suo libro The invisible world, il microscopio è stato il catalizzatore della rivoluzione scientifica. Questo semplice dispositivo catturava un’idea complessa: la scienza poteva rivelare aspetti del mondo naturale che erano invisibili alla nuda percezione umana.
Gli occhiali ci aiutavano a concentrarci sulla parola scritta, ma il microscopio permetteva agli esseri umani di scoprire regni completamente nuovi, estendendo il potere sia della vista sia dell’immaginazione.
Più o meno nello stesso periodo, anche un altro fabbricante di occhiali olandese stava armeggiando con il vetro e si rese conto che gli oggetti distanti potevano essere ingranditi accostando lenti convesse e concave. La notizia si diffuse rapidamente in tutta Europa. L’italiano Galileo Galilei, che insegnava matematica all’università, modificò l’oggetto dei suoi studi e rivolse il suo telescopio verso le stelle.
La maggior parte dei suoi contemporanei usava i telescopi per scopi militari, per spiare i nemici a terra e in mare. Nel giro di un anno, Galileo pubblicò le descrizioni del Sole, della Luna, delle stelle e dei pianeti nel suo Sidereus nuncius, che divenne uno dei trattati scientifici più diffusi dell’epoca. Nonostante le persecuzioni della chiesa cattolica, le scoperte di Galileo portarono ad abbandonare l’idea che la Terra fosse al centro dell’universo e gettarono le basi per nuove sfide ai fondamenti della scienza, della filosofia e della politica.
Il canto dei pesci
In Europa la scienza dell’ottica aveva profonde radici culturali. Per gli antichi greci la vista era il più nobile dei sensi. I filosofi, da Platone a sant’Agostino, impiegavano immagini visive. Anche i termini scientifici oggi di uso comune riflettono una preferenza per la visione e il visibile: la parola “teoria” deriva dal grecotheōreō (osservo), e il nome dato in seguito all’era della ragione e del trionfo scientifico – l’illuminismo – è una metafora visiva della luce che sconfigge l’ombra.
Alla rivoluzione scientifica, l’ottica offrì sia macchine sia metafore. I telescopi hanno mediato rivoluzioni parallele nella scienza e nella filosofia dal cinquecento ai giorni nostri, e continuano a modificare la nostra comprensione dell’universo e il senso del nostro essere nel mondo.
Il sociologo Marshall McLuhan sosteneva che le rivoluzioni culturali, politiche e scientifiche avvenute in occidente sono state stimolate non solo dall’ottica – il microscopio e il telescopio – ma anche da un’altra tecnologia ugualmente importante: la stampa. Inventata a metà del quattrocento, la pressa a caratteri mobili consentì la rapida diffusione della stampa e la produzione culturale standardizzata e automatizzata della conoscenza. Come osservava McLuhan, la stampa ha cambiato i comportamenti umani e le abitudini culturali, e anche i nostri modelli percettivi. Con l’ascesa della cultura visiva, le tradizioni orali sono andate sparendo. Man mano che la parola scritta permeava la nostra realtà, l’importanza della parola parlata e l’uso dell’udito come metodo per esplorare e comprendere il mondo andavano calando.
I sensi che non sono coltivati tendono ad atrofizzarsi. Gli etnografi parlano da tempo dell’apparente sordità dei popoli occidentali che, cresciuti in una cultura ossessionata dalla visione e dalla parola scritta, hanno un udito meno sviluppato rispetto agli altri.
Le tecnologie sonore funzionano da protesi scientifiche: estendono il nostro udito, espandono i nostri orizzonti percettivi e concettuali
Qualche anno fa l’antropologo brasiliano Rafael José de Menezes Bastos ha raccontato di un viaggio con i kamayurá, una comunità indigena della foresta pluviale amazzonica. Una sera, attraversando in canoa il lago Ipavu, nel nordest del Brasile, il suo amico Ekwa smise di remare e tacque. Quando Bastos gli chiese perché si fossero fermati, Ekwa rispose: “Non senti il canto dei pesci?”. Bastos non sentiva nulla. “Tornato al villaggio”, avrebbe scritto in seguito, “conclusi che Ekwa aveva vissuto una sorta di allucinazione, un momento di ispirazione poetica o di estasi sacra, e che l’episodio era stato solo un volo della sua immaginazione”.
Tempo dopo, Bastos andò a un seminario di bioacustica organizzato da alcuni ricercatori dell’università di Santa Catarina, in Brasile, dove sentì il canto dei pesci. All’improvviso si rese conto che Ekwa “sembrava più un bravo ittiologo che un poeta vittima di un’allucinazione o di un delirio religioso”. Le orecchie di Bastos erano chiuse, mentre quelle di Ekwa erano aperte. Perfino i bambini kamayurá, ha scritto Bastos, erano in grado di sentire i suoni degli aerei e delle barche molto prima di lui.
Nella lingua dei kamayurá, la parola anup (“ascoltare”) evoca anche l’idea di “capire”, molto più della parola tsak (“vedere”), che significa “comprendere” solo in senso strettamente analitico. Fare troppo affidamento sulla vista è considerato un comportamento antisociale, mentre una buona capacità di ascolto è associata a forme olistiche e integrate di percezione e conoscenza.
Tra i kamayurá i migliori ascoltatori sono spesso i più versati nella musica e nelle arti verbali. Un riconoscimento speciale – il titolo di maraka´ùp (“maestro della musica”) – viene assegnato a quelli che, come Ekwa, sono in grado di percepire, ricordare, riprodurre e collegare i suoni di altri esseri. Questa capacità deriva sia da un talento innato sia da un allenamento costante.
Le capacità interpretative dei kamayurá sono pari e in alcuni casi addirittura superiori alla comprensione scientifica occidentale: sono in grado di trarre conclusioni precise e accurate su quali specie o oggetti emettono determinati rumori, dove e perché. Il loro è un tipo di sapere concreto e relazionale, perché sono in costante dialogo con la vita non umana che li circonda. Si muovono attraverso la foresta ascoltando e conversando con animali, piante e spiriti, dicendogli che non intendono fargli del male e chiedendo in cambio di rimanere illesi. Bastos sostiene che questo “ascolto del mondo” acustico-musicale – che combina la precisione della scienza occidentale con le pratiche di sintonizzazione spirituale – è una forma di ecologia sacra.
Forse anche gli antenati degli occidentali moderni possedevano questa capacità, ma abbiamo smesso di coltivarla molte generazioni fa. Privilegiando la vista rispetto all’udito, abbiamo smesso d’imparare ad ascoltare. Ma negli ultimi anni nuove generazioni di scienziati hanno cominciato a esplorare il mondo trascurato del suono – dal cosmo alle singole cellule – portando ad alcune scoperte straordinarie che, come quelle dei microscopisti dei secoli passati, rivelano mondi nascosti e insospettati.
L’eco del big bang
Per millenni i movimenti dei corpi celesti, dai pianeti luminosi alle stelle più deboli, hanno offerto una guida pratica ai navigatori e una direzione spirituale agli oracoli. Ma alcuni segnali provenienti dalle stelle sono invisibili a occhio nudo.
Gli astrofisici hanno sviluppato tecniche per convertire i dati dei segnali luminosi in audio digitale, usando l’altezza, la durata e altre proprietà del suono. Wanda Díaz-Merced, un’astronoma cieca, trasforma in suoni i percorsi del plasma nella parte più alta dell’atmosfera terrestre e ha inventato nuovi metodi per rilevare segnali quasi impercettibili in presenza di rumore visivo.
Ma la conversione dei dati in segnali acustici – chiamata sonificazione – è ora usata anche da scienziati che non hanno problemi di vista, perché l’ascolto delle stelle aiuta a scoprire schemi ricorrenti che potrebbero sfuggire alle rappresentazioni visive. La sonificazione ha portato a diverse scoperte sorprendenti, tra cui la presenza di fulmini su Saturno e l’ubiquità dei micrometeoroidi che si schiantano contro i veicoli spaziali.
Anche le origini dell’universo possono essere sonificate. Poco dopo il big bang, onde giganti hanno viaggiato attraverso la materia densa e calda che costituiva l’universo primordiale. Queste onde comprimevano (e quindi riscaldavano) alcune regioni e ne allungavano (e quindi raffreddavano) altre. Quelle variazioni di temperatura possono essere rilevate ancora oggi nella radiazione cosmica di fondo a microonde, come echi delle onde d’urto originali del big bang.
La radiazione cosmica di fondo (chiamata anche radiazione residua) ha una frequenza che non possiamo cogliere con i nostri occhi. Quando John Cramer, un astrofisico dell’università di Washington, li ha convertiti in suoni, questi segnali risuonavano come un forte ronzio “simile a quello di un grande aereo a reazione che vola trenta metri sopra di noi”.
Oltre a leggere grafici e tabelle, gli scienziati hanno ricominciato ad ascoltare la musica delle stelle. Gli antichi ne sarebbero felici.
Gli infrasuoni emessi dagli elefanti percorrono lunghe distanze e aiutano mandrie e famiglie a coordinare il loro comportamento
Anche la scienza della bioacustica apre una nuova finestra su mondi sonori non percepibili dall’orecchio umano. In tutto il pianeta il suono è un modo primordiale di veicolare informazioni ecologiche complesse. Una vasta gamma di specie, anche quelle prive di orecchie, è notevolmente sensibile al suono.
Negli ultimi vent’anni scienziati e dilettanti hanno cominciato a usare registratori digitali per catturare i suoni della vita, dall’Artide all’Amazzonia. Gran parte di ciò che rilevano è al di sopra o al di sotto del nostro raggio uditivo. La scienza della bioacustica digitale può quindi essere paragonata agli albori dell’ottica: i registratori digitali, come i microscopi o i telescopi, estendono il senso dell’udito umano oltre i limiti percettivi del nostro corpo.
Il minuzioso lavoro dei bioacustici ha rivelato che molte più specie di quanto si pensasse producono rumore. Inoltre ci stiamo rendendo conto che molti animali capaci di vocalizzare possono trasmettere informazioni complesse attraverso la comunicazione acustica.
Un buon esempio sono gli infrasuoni degli elefanti. Questi pachidermi emettono onde sonore potenti e molto basse (ben al di sotto della portata dell’udito umano) che percorrono lunghe distanze attraverso la foresta e la savana e aiutano mandrie e famiglie a coordinare il loro comportamento su grandi territori. Ancora più sorprendenti sono i segnali e i suoni che gli elefanti emettono in determinate situazioni, raccolti dagli scienziati in un dizionario con migliaia di voci. Gli elefanti africani, per esempio, hanno un segnale specifico per le api. Sono anche abili ascoltatori, in grado di distinguere le tribù che li cacciano da quelle che non lo fanno semplicemente ascoltando le loro voci e i loro dialetti.
Anche alcune creature senza voce, a quanto pare, sono incredibilmente in armonia con i suoni. Steve Simpson, biologo dell’università di Exeter, nel Regno Unito, ha dimostrato che le larve di corallo sono in grado di distinguere tra i suoni delle barriere coralline sane e quelle degradate (preferiscono le prime) e perfino tra una barriera corallina qualsiasi e la loro barriera d’origine (preferiscono la seconda). Yossi Yovel, un neuroecologo dell’università di Tel Aviv, in Israele, ha scoperto che i fiori rispondono al ronzio delle api riempiendosi di un nettare più abbondante e più dolce in pochi minuti. Anche gli animali che vivono nel terreno fanno rumore, un cinguettio sotterraneo.
Il mondo è pieno dei suoni della natura, per la maggior parte non percepibili dall’orecchio umano. Ma combinando la bioacustica digitale con l’intelligenza artificiale, gli scienziati hanno cominciato a cogliere la portata della comunicazione interspecie attraverso tutto l’albero della vita. Il team di Yovel ha addestrato un programma d’intelligenza artificiale a rilevare minuscoli cambiamenti nella frequenza degli ultrasuoni emessi dalle piante. In un esperimento condotto sulle piante di tabacco, l’algoritmo è stato in grado di rilevare se erano disidratate, sane o danneggiate semplicemente ascoltandole. Queste alte frequenze ultrasoniche sono ben al di sopra dell’intervallo uditivo umano, ma sono udibili dagli insetti.
Spinti dalla consapevolezza che la natura è piena di comunicazioni interspecie, gruppi di ricerca interdisciplinari composti da informatici, biologi e linguisti stanno tentando di usare l’intelligenza artificiale e la bioacustica digitale per sviluppare strumenti per tradurle. Questo solleva profondi interrogativi etici. Quando abbiamo il diritto di raccogliere dati acustici non umani? Chi dovrebbe avere accesso a quei dati? Cacciatori? Pescatori? E quali sono i rischi, visti i pregiudizi inevitabilmente legati all’intelligenza artificiale?
Ci sono anche profonde questioni filosofiche. L’esistenza di una comunicazione complessa in altre specie mette in discussione l’idea che il linguaggio sia una caratteristica esclusivamente umana? Queste scoperte inoltre creano nuove possibilità per garantire una voce politica agli esseri non umani, che potrebbero influenzare le politiche ambientali o, più in generale, il comportamento degli umani?
Sempre in ascolto
Se il suono esiste ovunque e da sempre nel cosmo, la vita potrebbe in qualche modo essere in sintonia con la comunicazione acustica, e i fenomeni che riguardano gli esseri viventi – dalle malattie all’attività cerebrale alle relazioni simbiotiche – potrebbero essere tradotti e compresi attraverso l’acustica.
Gli scienziati stanno trasformando i dati in suoni in modi nuovi: per esempio, i biofisici hanno usato la sonificazione come strumento didattico per spiegare il ripiegamento delle proteine. In medicina, il suono è usato dai neuroscienziati per affinare la diagnosi dell’alzheimer, e dai cardiologi per rilevare variazioni sottili ma importanti nella frequenza cardiaca e nei segnali dell’elettrocardiogramma. Le tecniche di sonificazione sono state usate anche dai medici che cercano irregolarità nelle onde cerebrali per identificare tracce del deterioramento cognitivo che altrimenti potrebbero passare inosservati e per trovare segni precoci di crisi epilettiche nei bambini.
I vantaggi vanno oltre la capacità di cogliere piccoli segnali che altrimenti rischiano di essere ignorati. Il nostro campo visivo è limitato a circa 180 gradi e gli occhi possono chiudersi. Ma possiamo sentire i suoni a 360 gradi e le orecchie sono sempre in ascolto. I dati visivi richiedono lo sguardo attento di un operatore sanitario, mentre i dati audio possono essere trasmessi per ottenere un intervento urgente. La sonificazione è al tempo stesso sottile e immediata.
Oltre alla sua utilità diagnostica, il suono è importante per la salute in un altro modo: è rigenerante. Per esempio, la musica aiuta gli anziani affetti da demenza, un fenomeno ben documentato che illustra come i nostri neuroni rispondono alle canzoni e ai ritmi molto tempo dopo che la memoria e la cognizione si sono affievolite. La risposta dei mammiferi al suono va ben oltre il semplice rilassamento. Un gruppo di medici di St. Louis, negli Stati Uniti, ha recentemente completato uno studio in cui indirizzava onde sonore a bassa frequenza verso parti specifiche del cervello dei topi, inducendoli a uno stato simile all’ibernazione. Hanno anche ricreato lo stesso effetto nei ratti, animali che normalmente non vanno in letargo.
Poiché la maggior parte dei mammiferi va in letargo e poiché moltissimi, compresi gli esseri umani, condividono strutture cerebrali simili, le persone potrebbero avere una capacità latente di ibernazione? Forse un giorno il suono aiuterà a mantenere gli astronauti in uno stato di animazione sospesa durante i viaggi interplanetari.
Un’altra rivoluzione
Secoli fa, prima dell’invenzione del microscopio, nessuno aveva idea che esistesse un mondo microbico pieno di strane forme di vita. Prima dell’invenzione del telescopio l’umanità era in grado di avere solo una vaga idea dei corpi celesti. Nessuno poteva prevedere la scoperta del dna e la capacità di manipolare il codice della vita, né lo sviluppo dei viaggi spaziali e la possibilità di visualizzare regioni lontane dello spazio profondo. L’ottica ha cambiato il posto dell’umanità nel sistema solare e nell’universo.
La scienza dei suoni è l’ottica del ventunesimo secolo. Come i microscopi, le tecnologie sonore funzionano da protesi scientifiche: estendono il nostro udito, espandono i nostri orizzonti percettivi e concettuali. Stiamo incontrando nuovi paesaggi sonori in tutto il cosmo, imparando a conoscere l’universalità della produzione di significati acustici e la sensibilità primordiale che gli organismi viventi hanno per il suono. La scienza toglie l’umanità dal centro dell’albero della vita e la connette più strettamente al cosmo.
Nel cinquecento e nel seicento, agli albori dell’ottica, il termine rivoluzione era usato per riferirsi ai corpi celesti che ruotavano e implicava un movimento ciclico piuttosto che un progresso lineare, un ripristino dell’allineamento piuttosto che una rottura con il passato. Il concetto di rivoluzione come rottura violenta e rifiuto del precedente ordine scientifico, politico ed economico si affermò solo nel settecento.
La scienza dei suoni è una rivoluzione in questo secondo significato, ma potrebbe anche esserlo in quello più antico, un ritorno a qualcosa che una volta conoscevamo ma che abbiamo in gran parte dimenticato: l’importanza primordiale del suono per la vita, per l’universo, per il nostro corpo. Il mondo risuona tutt’intorno a noi. La scelta di ascoltare e lo sviluppo di nuove tecniche di sonificazione dei dati ci permetterà di percepire nuovamente il cosmo, la Terra e noi stessi. ◆ bt
Karen Bakker è stata una ricercatrice e scrittice canadese. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è I suoni segreti della natura (Feltrinelli 2023).
Questo articolo è stato pubblicato su Noēma Magazine. Per leggere la versione originale e altri pezzi in inglese visitate noemamag.com.
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Questo articolo è uscito sul numero 1557 di Internazionale, a pagina 68. Compra questo numero | Abbonati