Per Yasser al Ostaz questo doveva essere l’ultimo anno all’università Al Azhar della città di Gaza prima di laurearsi in ingegneria. Ma il 7 ottobre 2023, esattamente una settimana dopo l’inizio delle lezioni, le sue speranze di portare a termine gli studi si sono infrante. Al Ostaz, originario del nord della Striscia, oggi vive in una tenda nella piccola città di Rafah, all’estremità meridionale del territorio. Qui più di un milione di persone minacciate dalla carestia si sono ammassate in cerca di riparo dall’offensiva militare d’Israele contro il gruppo armato Hamas, lanciata in risposta al più sanguinoso attacco mai subìto dallo stato ebraico dalla sua fondazione nel 1948.
Per i 2,3 milioni di abitanti della Striscia intrappolati in un territorio devastato da cinque mesi di bombardamenti sopravvivere è la prima preoccupazione. Ma molti sono profondamente angosciati per quello che ne sarà di loro quando le bombe avranno smesso di cadere. “Non è rimasto nulla dopo che le nostre case e università sono state distrutte”, dice Al Ostaz. “Penso di andarmene, ma non ho la minima idea di cosa fare”. “Un milione di domande” gli ronzano in testa e lui non ha risposte: “Gli anni che ho passato all’università varranno anche altrove o dovrò cominciare tutto da capo? Potrò viaggiare? Riuscirò a mettere insieme i soldi per partire?”.
Prima della guerra nella Striscia di Gaza c’erano più di ottocento scuole e diciassette istituti di istruzione superiore, tra cui almeno sei università, ma molti sono stati danneggiati o completamente distrutti.
L’università Al Azhar, frequentata da Al Ostaz, fu inaugurata nel 1991 da Yasser Arafat ed era considerata una delle più progressiste per la sua offerta formativa e per le classi miste. Ma quasi tutte le strutture sono state colpite dai bombardamenti israeliani. Un secondo campus nella vicina Al Mughraqa, finanziato da Marocco e Arabia Saudita, è ridotto in macerie. Quello che è rimasto in piedi ora ospita migliaia di persone sfollate. Decine di migliaia di studenti come Al Ostaz e gli oltre 600mila bambini del territorio hanno poche speranze realistiche di riprendere presto le lezioni.
Per la popolazione sproporzionatamente giovane della Striscia – circa il 65 per cento ha meno di 25 anni – tornare in classe sarà una delle sfide più grandi da affrontare quando la guerra sarà finita. Le ripercussioni sul suo futuro sono gravissime. I professori universitari avvertono che la decimazione del sistema educativo di Gaza è una catastrofe che distruggerà ulteriormente le vite dei palestinesi. L’offensiva israeliana non solo ha raso al suolo centinaia di scuole e università, ma ha anche ucciso molte persone istruite: studenti, giovani professionisti, personalità della cultura, insegnanti e professori universitari. Qualcuno dice che la perdita per la società palestinese è incalcolabile. “Sono stati smantellati il tessuto sociale delle comunità di Gaza e la loro capacità di ricostruirsi una vita”, afferma Ala Alazzeh, che insegna antropologia all’università di Birzeit, nella Cisgiordania occupata. “Pensate al numero dei professori uccisi. Le fondamenta del sapere sono state rase al suolo. Si tratterà di ripristinare non solo lo spazio fisico, ma anche le competenze e la formazione accademica. Se non usiamo la parola genocidio, possiamo parlare di ‘sociocidio’, la distruzione della società”.
Progressi a rischio
Per molto tempo Gaza e la Cisgiordania avevano registrato uno dei tassi di alfabetizzazione più alti del mondo arabo, nonostante decenni di occupazione e i diciassette anni di blocco della Striscia. Nel settembre 2023 era al 98 per cento, secondo l’Ufficio centrale di statistica palestinese, dati paragonabili a quelli dei ricchi stati del Golfo. L’analfabetismo era crollato dal 13,9 per cento nel 1997 al 2,2 nel 2023.
L’istruzione è stata uno dei primi settori ceduti dall’amministrazione israeliana a quella palestinese con gli accordi di Oslo del 1994, e riveste una grande importanza per la società. Le università di Gaza offrivano corsi di laurea in varie discipline e molti laureati, nonostante le restrizioni, sono riusciti a svolgere dei dottorati in occidente per poi tornare a lavorare nella Striscia, spiega Mkhaimar Abusada, che insegna scienze politiche all’università Al Azhar. “Storicamente i palestinesi investivano molto nell’istruzione dei loro figli”, aggiunge. “Negli ultimi diciassette anni, da quando Hamas ha preso il controllo della Striscia, l’alta disoccupazione ha scoraggiato i ragazzi dal seguire un percorso universitario. Ma per le ragazze che volevano cambiare la loro vita l’istruzione era l’unica strada”.
Questi progressi oggi sono a rischio. Oltre ai danni alle infrastrutture, la perdita di vite umane ha ulteriormente impoverito la società di Gaza privandola di alcuni dei suoi giovani più promettenti.
Tra di loro ci sono persone come Maisara Alrayyes, un medico di 28 anni che si è specializzato al King’s college di Londra grazie a una borsa di studio Chevening. Avrebbe potuto assicurarsi un lavoro ben pagato nel Golfo o in Europa, invece ha scelto di tornare a Gaza, dove lavorava per Médecins du monde, un’organizzazione umanitaria internazionale. “Era instancabile, molto preciso, affidabile, sempre gentile e con un grande senso dell’umorismo”, racconta Mads Gilbert, esperto di medicina d’urgenza che è stato insegnante di Alrayyes all’università Al Azhar e poi è diventato suo amico. Insieme avevano lanciato un progetto per formare gli studenti permettendogli di tenere corsi di primo soccorso aperti a tutti. Il 6 novembre Alrayyes è stato ucciso da un bombardamento israeliano con i suoi genitori e altri familiari.
Anche lo specialista in gestione dei progetti Tariq Thabet, che non aveva ancora quarant’anni, aveva rifiutato una vita fuori da Gaza per fare la differenza lì. Thabet, che nel 2021 aveva vinto una borsa di studio Fulbright, aveva definito l’opportunità di studiare sviluppo economico alla Michigan state university, negli Stati Uniti, “un viaggio che ti cambia la vita”.
Quando è tornato a casa nel 2022 si è dedicato ai giovani imprenditori di Gaza, dirigendo la struttura del college di scienze applicate creata per agevolarli. I suoi amici pensano che Thabet abbia aiutato migliaia di giovani a trovare lavoro, un sostegno essenziale nella Striscia, dove la disoccupazione si aggira intorno al 70 per cento. Thabet e più di dieci suoi familiari sono stati uccisi il 29 ottobre in un attacco aereo israeliano che ha colpito la loro casa nel centro di Gaza.
Poi c’è Lubna Alyaan, una talentuosa violinista di quattordici anni morta il 21 novembre insieme a decine di parenti in un bombardamento che ha investito la casa di sua zia a Nuseirat, nel sud di Gaza. Alyaan, che frequentava il conservatorio nazionale di musica Edward Said, aveva impressionato gli insegnanti per la sua diligenza e la sua bravura, arrivando a studiare con musicisti di fama internazionale come Tom Suárez, ex componente dell’orchestra sinfonica di Baltimora e di altre orchestre negli Stati Uniti.
Secondo Samar Ashour, insegnante e madre di tre figli, oggi sfollata a Rafah, “il futuro di un’intera generazione è in pericolo”. Ashour prova a ripassare le lezioni con i suoi bambini, ma dice che la più piccola, di sei anni, ha perso l’entusiasmo che aveva per l’apprendimento, perché è ancora sotto shock da quando una sua amica è stata uccisa. “Dice: ‘Non voglio andare a scuola, non voglio andare da nessuna parte. Voglio solo stare con te, così moriamo insieme quando ci bombardano’”, aggiunge Ashour.
Doppi turni
L’infrastruttura educativa della Striscia era già sotto pressione prima della guerra, secondo un rapporto di Education cluster, un gruppo di agenzie dell’Onu e altre organizzazioni umanitarie guidato da Unicef e Save the children. Le scuole operavano su doppi turni per far fronte alla domanda, le classi erano sovraffollate e l’orario scolastico era stato ridotto. I frequenti conflitti avevano provocato effetti anche sul benessere mentale dei bambini: quattro su cinque convivevano con “depressione, sofferenza e paura” già prima del 7 ottobre, afferma il rapporto.
Ma dopo la sanguinosa incursione dei miliziani di Hamas nel sud di Israele, che ha provocato 1.200 morti e centinaia di ostaggi, Israele ha contrattaccato con una feroce offensiva militare, devastando il territorio nel tentativo di sradicare il gruppo islamista. Almeno 32mila persone sono state uccise nella Striscia finora, secondo le autorità sanitarie palestinesi.
La guerra ha interrotto le attività nei 563 edifici che, con i doppi turni, ospitavano 813 scuole. Circa il 76 per cento delle strutture sono state danneggiate, molte in modo serio, afferma Education cluster. Inoltre, molte ora ospitano gli sfollati che probabilmente continueranno a stare lì anche dopo un cessate il fuoco, perché le loro case sono distrutte e non hanno un posto dove andare. “Le infrastrutture educative dovranno essere completamente ricostruite, e i materiali didattici sostituiti”, dice Education cluster, che stima un costo di almeno 855 milioni di dollari.
Un’altra incertezza è il destino dell’Unrwa, la più grande agenzia dell’Onu attiva a Gaza, che si occupa dei rifugiati palestinesi e gestiva 183 scuole con circa 300mila iscritti. I finanziamenti all’agenzia sono stati congelati da Stati Uniti, Regno Unito e altri paesi dopo che Israele aveva accusato una decina di suoi operatori di Gaza (su un totale di 13mila dipendenti) di aver avuto un ruolo negli attacchi del 7 ottobre. L’Unrwa ha licenziato i dipendenti coinvolti e ha aperto un’indagine. Il collasso dell’Unrwa lascerebbe nel sistema educativo di Gaza un enorme vuoto difficile da colmare, affermano i funzionari dell’Onu.
Polvere e fumo
Anche le università della Striscia sono state bersaglio delle bombe israeliane. Delle sei università principali, cinque sono state completamente o parzialmente distrutte. È stata rasa al suolo l’Università islamica di Gaza, affiliata a Hamas, che aveva 20mila studenti. Secondo Israele era un “importante centro di addestramento” per gli ingegneri di Hamas. Il rettore dell’università, Sofyan Taya, scienziato e studioso prolifico nel campo dell’ottica, è stato ucciso in un attacco aereo insieme alla moglie e ai cinque figli.
Lo stato ebraico dichiara che è in corso un’indagine sulla demolizione dell’università Israa, nel sud della città di Gaza, fatta saltare in aria il 17 gennaio dai soldati israeliani che l’avevano usata come base per settanta giorni. Questo ateneo privato, indipendente e senza scopo di lucro, fondato nel 2014 – il cui motto era “il cambiamento verso la professionalità” – offriva corsi di medicina, ingegneria, finanza, giurisprudenza e scienze umane a circa quattromila studenti. Un filmato drammatico, girato dai militari, mostra il momento in cui l’intero campus crolla avvolto in una spessa nube di polvere e fumo.
Gaza piange anche la morte di circa 95 professori universitari e ricercatori, secondo i funzionari palestinesi, tra cui 77 persone che avevano conseguito il dottorato e tre rettori.
Neve Gordon, un israeliano che insegna diritto internazionale e diritti umani alla Queen Mary university di Londra, afferma che lo smantellamento del sistema educativo di Gaza porterà a un “de-sviluppo” del territorio. Secondo lui e altri accademici della British society for Middle Eastern studies questo risultato è una politica deliberata di Israele. Lo stato ebraico ribadisce di prendere di mira solo gli edifici legati a Hamas. “La natura sistematica degli attacchi, il numero di professori uccisi e scuole danneggiate dimostrano un’intenzionalità”, afferma Gordon, che avverte del rischio di una “fuga di cervelli causata da morte e distruzione”.
Anche se nessuno sa con certezza cosa succederà in futuro nella Striscia – Israele dice di voler esercitare un controllo diretto sulla sicurezza –, gli studiosi ritengono probabile un esodo delle persone più qualificate. Il colpo inferto a tutti gli ambiti della quotidianità renderà molto difficile rifarsi una vita lì. Molti prevedono che la piccola classe media, che comprende anche gli educatori, cercherà opportunità all’estero.
Gli universitari non possono neanche spostarsi in Cisgiordania perché, come spiega Alazzeh, le restrizioni israeliane alla libertà di movimento impediscono ai palestinesi di Gaza di continuare gli studi negli altri territori occupati.
Mkhaimar Abusada afferma che le persone “cercheranno altri posti dove andare. Se non per se stessi, per il bene dei loro figli, per questa generazione che si sta perdendo”. Secondo le sue stime, decine o centinaia di migliaia di persone vorranno emigrare: “È chiaro che nessuno vuole accoglierle, forse ricorreranno all’immigrazione illegale”. Dal 2007 migliaia di giovani sono già partiti “spinti dalla povertà, dalla disoccupazione e dalla mancanza di prospettive, verso la Turchia e l’Europa”, aggiunge Abusada.
Anche se si raggiungerà un cessate il fuoco, l’impresa di ricostruire il sistema educativo di Gaza, fondamento per qualunque sviluppo futuro, è colossale. Tanto per cominciare, la distruzione delle abitazioni e delle reti elettriche rende impossibile replicare l’esperienza dell’insegnamento online fatta durante la pandemia di covid-19. La maggioranza degli abitanti della Striscia vive in tende o rifugi senza accesso alla tecnologia.
Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, ha promesso che non ci sarà nessuna ricostruzione prima della “smilitarizzazione di Gaza” e di un “generale programma di deradicalizzazione” nell’istruzione e in ambito religioso. Ma Ala Alazzeh afferma che Israele probabilmente otterrà l’esatto contrario: “Ci saranno più resistenza e più radicalizzazione. Non so come le persone lo affronteranno, ma sicuramente il trauma prenderà una forma collettiva”.
Anche Abusada teme che la guerra porterà la nuova generazione su posizioni estreme: “Quelli che sono sopravvissuti dopo che tutta la loro famiglia è stata uccisa non dimenticheranno e non perdoneranno”. ◆ fdl
◆Nelle università italiane cresce la protesta contro la distruzione del sistema educativo nella Striscia di Gaza, gli attacchi ai campus universitari e gli arresti di studenti e insegnanti in Cisgiordania, e per chiedere di sospendere le collaborazioni con istituti israeliani.
◆Il 19 marzo 2024 il senato accademico dell’università di Torino ha approvato a grande maggioranza, con un solo voto contrario e due astenuti, una mozione presentata dagli studenti per chiedere all’ateneo di non partecipare al bando del ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) per finanziare progetti congiunti di ricerca tra Italia e Israele. Qualche giorno dopo anche la scuola Normale di Pisa ha chiesto al ministero di rivalutare l’accordo con lo stato ebraico.
◆Almeno diciannove atenei stanno organizzando iniziative per chiedere la sospensione del bando prima della sua scadenza, prevista per il 10 aprile.
◆ Più di duemila docenti, ricercatori, bibliotecarie e tecnici hanno firmato una lettera aperta al Maeci per chiedere l’interruzione di ogni progetto di ricerca con Tel Aviv. Il rischio, sostengono, è che i finanziamenti possano servire a sviluppare tecnologie dual use, cioè che potrebbero avere un uso sia civile sia militare, “aggravando le responsabilità internazionali del nostro paese”. Lo scopo della lettera è “esercitare pressione sullo stato di Israele affinché si impegni al rispetto del diritto internazionale”. Ansa
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Questo articolo è uscito sul numero 1557 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati