Da millenni l’umanità altera i cibi per soddisfare i suoi gusti. Ma nell’ottocento, con l’invenzione dei cibi in scatola e della pastorizzazione, l’alchimia alimentare è diventata possibile su scala industriale. Le innovazioni tecnologiche hanno reso i prodotti più economici e pratici. Secondo le Nazioni Unite tra il 1961 e il 2021 nei paesi ricchi la disponibilità quotidiana di cibo è aumentata di più del 20 per cento, arrivando a 3.500 kilocalorie pro capite. Nello stesso periodo l’obesità è più che triplicata, e oggi nel mondo quasi una persona su tre è obesa o sovrappeso.

Ora il timore che il problema stia proprio nel processo di trasformazione degli alimenti sta aumentando. I sospetti si concentrano sui “cibi ultraprocessati” (Upf), una definizione introdotta dallo scienziato brasiliano Carlos Monteiro. Il dibattito si concentra su un quesito: gli Upf fanno male perché sono poveri di nutrienti o il problema è proprio la lavorazione? Presto nuovi studi potrebbero fornire la risposta.

Intorno al 2000 Monteiro ha notato che in Brasile l’obesità e le malattie metaboliche aumentavano nonostante il calo delle vendite di zucchero e olio. Il fenomeno coincideva con la crescente diffusione di cibi pronti pieni di zuccheri, grassi e additivi. Nel 2009 Monteiro ha ideato un sistema di classificazione che suddivide gli alimenti in quattro gruppi a seconda del grado di trasformazione. Il primo comprende alimenti non lavorati come frutta e latte, il secondo ingredienti di base come burro e zucchero e il terzo verdura in scatola, pane e salumi.

Il quarto gruppo è formato da cibi molto lavorati come bevande gassate, cereali zuccherati e pizze surgelate, preparati con ingredienti che non si trovano nella cucina di casa: grassi idrogenati, sciroppo di mais, aromatizzanti ed emulsionanti. Gli Upf si ottengono scomponendo gli alimenti nei vari nutrienti per poi modificarli chimicamente e riassemblarli con l’aggiunta di coloranti e dolcificanti artificiali, che li rendono più appetitosi.

Dagli anni novanta la presenza degli Upf nell’alimentazione di tutto il mondo è aumentata e adesso negli Stati Uniti e nel Regno Unito questi cibi rappresentano oltre la metà dell’apporto calorico. Numerosi studi hanno dimostrato che chi consuma molti Upf tende a soffrire di obesità, diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, tumori e problemi di salute mentale. Spesso gli Upf contengono più grassi, zuccheri e sale, il che potrebbe spiegarne gli effetti negativi. Eppure da una revisione di 37 studi fatta da Samuel Dicken e Rachel Batterham dello University college London è emerso che il legame tra gli Upf e i problemi di salute restava evidente anche se si aggiustavano i risultati per tenere conto di questo fattore.

L’origine dei danni resta ignota. A causa dei tanti elementi che potrebbero concorrere a nuocere alla salute – tra cui reddito, istruzione e contesto sociale – gli studi osservazionali non possono dare risposte conclusive. Uno strumento migliore è lo studio randomizzato controllato, che segue l’alimentazione di volontari prendendo in considerazione tutte le altre variabili. Nel 2019 Kevin Hall dei National institutes of health (Nih) statunitensi ha ricoverato in una clinica per un mese venti adulti. Per due settimane un gruppo ha ricevuto cibi ultralavorati e un altro alimenti poco lavorati, poi le diete sono state invertite. Entrambe contenevano le stesse quantità di calorie e di nutrienti come zuccheri, fibre e grassi e le persone erano libere di mangiare quanto volevano.

Combinazioni irresistibili

I risultati sono stati sorprendenti. Quando consumavano cibi ultralavorati i volontari assumevano circa 500 calorie al giorno in più rispetto all’altro gruppo. Inoltre mangiavano più in fretta, e nel giro di due settimane sono ingrassati in media di un chilo. Seguendo l’altra dieta, invece, hanno perso all’incirca lo stesso peso. Secondo Hall, anche se lo studio è stato breve e condotto in un contesto artificiale, sale, zuccheri e grassi in eccesso potrebbero non essere gli unici colpevoli degli effetti nocivi degli alimenti trasformati.

Per confermare questi risultati servono altri studi randomizzati controllati, ma resta un importante quesito: perché gli Upf spingono a mangiare di più? Hall ritiene che in parte dipenda dalla maggiore quantità di calorie per morso: spesso, infatti, i prodotti ultralavorati sono privati dell’acqua per durare di più, e questo aumenta la densità calorica.

Secondo un’altra teoria gli Upf sono creati appositamente per essere irresistibili. Spesso contengono combinazioni di nutrienti – con un contenuto maggiore di grassi e zuccheri, di grassi e sale o di carboidrati e sale – note come “iperappetibili”, che non esistono in natura e che stimolano a mangiare più in fretta, senza dare allo stomaco il tempo sufficiente per trasmettere al cervello il senso di sazietà.

Per testare tutte le ipotesi Hall sta effettuando un altro studio in cui 36 volontari seguiranno quattro diete diverse: due simili a quelle dello studio precedente e altre due composte di cibi ultralavorati ma non iperappetibili, di cui una a bassa e una ad alta densità calorica. Tutte le diete contengono le stesse quantità di nutrienti fondamentali, e Hall monitora i cambiamenti di peso e altri valori. I primi dati indicano che l’eccesso calorico degli Upf sembra dovuto soprattutto all’iperappetibilità e alla densità calorica.

Al momento non si conosce ancora la portata della riformulazione alimentare necessaria. Se si riveleranno nocivi solo alcuni ingredienti o certi metodi di lavorazione i produttori potrebbero adeguarsi facilmente. Se invece, dice Hall, i responsabili fossero tanti ingredienti o tanti metodi, e solo in certe combinazioni, risolvere i problemi legati agli Upf sarebbe molto più complesso.

Se i risultati definitivi dimostrassero che a causare i problemi di salute non sono solo i nutrienti, ma anche il metodo di lavorazione, la politica dovrebbe affrontare un’altra questione: chiarire la definizione di Upf. Secondo la classificazione di Monteiro basta un additivo chimico e l’alimento rientra fra quelli ultralavorati. Da un recente studio è emerso che se alcuni Upf come le bevande zuccherate e le carni lavorate sono associati a un rischio maggiore di cardiopatia, altri, come i cereali da colazione, il pane e lo yogurt sembrano meno dannosi. In questo modo si rischia di demonizzare molti alimenti sani. Il lavoro di Hall potrebbe quindi contribuire a spiegare meglio gli Upf e a stilare linee guida più utili ed equilibrate. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1593 di Internazionale, a pagina 110. Compra questo numero | Abbonati