L’operazione elettorale speciale organizzata dal Cremlino è stata un successo: alle presidenziali del 15-17 marzo Vladimir Putin ha ricevuto un consenso senza precedenti. Su 114 milioni di aventi diritto, lo hanno votato 76 milioni di russi, l’88, 5 per cento di quanti si sono recati alle urne. Nel 2018 si era fermato al 75 per cento. Nessuno degli altri candidati – il comunista Nikolaj Charitonov, il centrista Vladislav Davankov e l’ultranazionalista Leonid Slutskij – ha superato il 5 per cento. Ufficialmente, anche l’affluenza alle urne è stata da record: il 77,4 per cento.

I tre giorni di voto dovevano essere una celebrazione dell’unità russa. L’obiettivo era far credere ai cittadini e al mondo che non ci sono alternative a Putin. Niente di nuovo, in fondo: spesso i dittatori ricorrono al rituale del voto per simulare il sostegno totale del popolo. Il “successo storico” di Putin – più dell’80 per cento dei consensi e più del 75 per cento di affluenza – è stato pianificato dal Cremlino.

Le elezioni non potevano essere democratiche: nessun candidato dell’opposizione ha potuto partecipare. Aleksej Navalnyj, l’unico possibile rivale di Putin, è morto in carcere un mese fa. Secondo l’ong Golos, fondata per difendere i “diritti elettorali” dei russi, non c’era mai stata una campagna elettorale così poco trasparente e distante dal dettato della costituzione. Il voto è stato una grande farsa, dove tutto era simulato: la legalità, la trasparenza, il pluralismo, la presenza di osservatori esterni, l’indipendenza delle commissioni elettorali.

I politologi del Cremlino erano consapevoli della natura illegale e antidemocratica di queste “elezioni” e si sono mossi di conseguenza. Sergej Markov, ex consigliere del Cremlino, ha scritto su Telegram: “Quelle del 2024 sono elezioni plebiscitarie. Pertanto la vittoria di Putin non viola la democrazia”. Un plebiscito richiede un’alta affluenza per cui, anche se gli altri candidati non hanno fatto campagna elettorale, tutti hanno invitato i russi ad andare a votare. Ai dipendenti della pubblica amministrazione e delle aziende statali è stato ordinato di partecipare al voto e di dimostrarlo. Altri sono stati incoraggiati con concorsi a premi. Si tratta di un sistema già sperimentato con successo nelle elezioni locali del settembre 2023.

Nelle votazioni sono stati coinvolti anche i territori ucraini occupati, dove gli elettori sono stati costretti a votare sotto minaccia. Nelle regioni di Donetsk, Luhansk, Zaporižžja e Cherson il voto è stato anticipato alla fine di febbraio. Per motivi di sicurezza (almeno questa è stata la spiegazione ufficiale) il personale delle commissioni elettorali che andava di casa in casa per far votare la gente era accompagnato da soldati armati. In questo modo il Cremlino si è assicurato quattro milioni e mezzo di nuovi elettori.

La reazione occidentale

Il Cremlino sapeva che l’opposizione non avrebbe potuto influenzare il voto. Dopo l’assassinio di Navalnyj è sempre più simile al movimento dissidente dell’epoca staliniana: atomizzata, isolata, senza alcun potere e dipinta dal regime come un insieme di “traditori della Russia e burattini dell’occidente”. Secondo fonti interne a Russia unita (il partito al governo) citate dal sito indipendente Meduza la mobilitazione dell’opposizione chiamata “Mezzogiorno contro Putin”, a cui hanno partecipato decine di migliaia di cittadini, è stata irrilevante. La vittoria di Putin, quindi, è reale, ma non così schiacciante come suggeriscono i dati ufficiali. Il sito The Moscow Times ha scritto, citando le stime del centro studi indipendente ExtremeScan, che i consensi per Putin in realtà non superano il 55 per cento.

Questo voto è di grande importanza anche per la reazione dei paesi occidentali. Putin ha messo alla prova il nemico e ha capito che, al di là di qualche contestazione legale, l’occidente non farà nulla per mettere in discussione la legittimità del suo potere. Le accuse di violazione del diritto internazionale (per il voto nei territori occupati), la mancanza di osservatori indipendenti, il mancato rispetto degli standard democratici sono solo critiche a parole. Per Putin sono la dimostrazione che l’occidente ha deciso di mettere da parte i valori e gli standard democratici per mantenere aperta, per il futuro, la possibilità di avviare colloqui di pace con il Cremlino.

Grande successo ha avuto anche l’operazione messa in piedi per persuadere i leader occidentali che non c’è alternativa a Putin, che l’intera nazione lo sostiene e che qualsiasi altra opzione sarebbe più pericolosa. Il risultato è che l’occidente si sta privando della possibilità di esercitare pressioni su Mosca aiutando i democratici russi, oggi in grande difficoltà.

In questa situazione, la vittoria elettorale usurpata darà a Putin mano libera nella definitiva trasformazione della Russia in un paese neototalitario. Al momento non esiste nessuna forza in grado di fermarlo, né in occidente né in Russia. Secondo il politologo Vladimir Pastuchov, quando le emozioni postelettorali passeranno e la morte di Navalnyj sarà dimenticata, la spirale di inerzia e di terrore s’intensificherà. E paradossalmente a guidare questa deriva saranno i cittadini, non le autorità. Saranno loro a pretendere spettacoli di sangue sempre nuovi, come ai tempi dei gladiatori. A quel punto comincerà “il massacro delle vacche sacre dell’epoca politica precedente”, a partire dalle privatizzazioni. E le “grandi idee” nazionali occuperanno sempre di più la coscienza collettiva dell’anziano clan dei putiniani, sostiene Pastuchov. E il Cremlino agirà in modo sempre più irrazionale.

Soffocare il nemico

I media del Cremlino tracciano ovviamente un quadro diverso e per il paese prevedono un “futuro luminoso”. Dopo il voto Putin ha sottolineato di essere pronto ad aprire un negoziato sull’Ucraina. È una trappola nota agli esperti di “guerra cognitiva” e consiste nel “soffocare il nemico in un abbraccio amichevole”. L’esito delle elezioni nei territori annessi da Mosca suggerisce che Putin non ha nessuna intenzione di fare concessioni territoriali.

Interrogato dai giornalisti occidentali, Markov non nasconde che a questo punto Putin vorrà mettere fine alla guerra in Ucraina. Ma solo alle sue condizioni. Costringerà l’occidente a colloqui di pace, consoliderà i rapporti con gli altri suoi partner e renderà la Russia immune alle sanzioni. Infine, terminerà la costruzione di una potente economia di guerra per infliggere la sconfitta finale agli ucraini. ◆ dp

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Questo articolo è uscito sul numero 1555 di Internazionale, a pagina 27. Compra questo numero | Abbonati