Il 15 febbraio 2024 nella regione del Galgaduud, nella Somalia centrale, le forze dell’esercito nazionale somalo hanno abbattuto due droni da ricognizione del gruppo ribelle Al Shabaab. È solo l’ultimo di una serie di episodi che confermano l’uso sistematico dei velivoli pilotati da remoto fatto dai gruppi terroristici in Africa.

Negli ultimi anni i droni sono diventati uno strumento a disposizione sia delle forze regolari sia dei gruppi ribelli. Gli eserciti di tutto il continente hanno investito in una grande varietà di tecnologie legate ai droni, sviluppate in tutto il mondo. Ora si teme che, di pari passo con la loro diffusione in Africa e il loro impiego nelle operazioni antiterrorismo, alcune organizzazioni jihadiste riescano a entrare in possesso di droni capaci di trasportare carichi pesanti ed esplosivi. Gli esperti avvertono che i miliziani di Al Shabaab e di altri gruppi, come lo Stato islamico della provincia dell’Africa occidentale (Iswap, nato da una costola di Boko haram), potrebbero usarli per colpire infrastrutture civili e militari.

Terrore nei cieli

Tra il 2015 e il 2017 i jihadisti del gruppo Stato islamico (Is) erano riusciti a modificare dei droni quadricotteri per sganciare ordigni sui loro avversari e condurre attacchi kamikaze. Tra il 2014 e il 2020, in Iraq e in Siria, sono stati registrati 256 casi simili.

Anche in Africa i droni stanno diventando l’arma preferita dei jihadisti. Dopo la sconfitta dell’Is in Iraq e in Siria, molti combattenti si sono spostati nel continente africano, portando con sé le competenze tecniche per farli funzionare. Nel 2022 il gruppo Stato islamico nel grande Sahara (Isgs) li ha usati per organizzare un attacco “complesso e coordinato” nella regione di Gao, in Mali, in cui sono rimasti uccisi più di quaranta soldati. Inoltre in molti video dei jihadisti saheliani, come il Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Gsim) e Al Qaeda nel Ma­ghreb islamico (Aqmi), si vedono droni usati per girare video di propaganda o in missioni di ricognizione. Già nel 2019 le forze algerine avevano confiscato armi e droni ad Aqmi.

Per i gruppi jihadisti uno dei principali vantaggi è che i droni permettono di ottenere informazioni sugli obiettivi, individuare le vulnerabilità e sorvegliare i movimenti degli avversari, nonché acquisire un quadro più completo della situazione.

La paura più grande è che servano per compiere attentati. Collegandoci esplosivi o altri carichi, i terroristi possono trasformarli in bombe aeree da far esplodere a distanza o programmate per schiantarsi contro determinati obiettivi. In questo modo possono colpire postazioni quasi irraggiungibili, perché fortificate o ben sorvegliate, o causare il massimo numero di vittime tra i civili.

Sfide tecniche

In ogni caso i droni e le loro componenti non sono sempre disponibili o economici da comprare. Farli funzionare e mantenerli richiede capacità tecniche e competenze specifiche. I jihadisti in Africa potrebbero avere difficoltà a trovare o a comprare componenti come batterie, fotocamere e dispositivi gps. Anche se i droni commerciali sono sempre più diffusi, e a prezzi abbordabili, potrebbero essere ancora fuori della portata di alcune milizie, soprattutto di quelle che agiscono in aree remote o povere. Alcuni paesi africani hanno limitato o vietato l’importazione, la vendita e l’uso di questi apparecchi.

Ci sono regioni, però, come il bacino del lago Ciad, dove sono presenti l’Iswap e Boko haram, e il Sahel, con Aqmi e
l’Isgs, caratterizzate da confini lunghi e scarsamente controllati, dove è facile contrabbandare i droni o trasportarli da un paese all’altro. Inoltre gli apparati di sicurezza in queste zone sono deboli e frammentati, e potrebbero non avere le capacità e il coordinamento necessari per individuare la minaccia. “La situazione è seria”, ha detto l’esperto di sicurezza nigeriano Chidi Omeje all’emittente Voice of America. “I militari della regione dovrebbero valutarla con attenzione, per capire come affrontarla”. ◆ gim

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1552 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati