Mentre si parla di quello che succede nella Striscia di Gaza, la situazione è sempre più critica anche al confine tra Israele e Libano, dove il gruppo armato libanese Hezbollah compie attacchi quotidiani, la cui intensità aumenta di giorno in giorno.

In circostanze normali, probabilmente Israele avrebbe già risposto avviando una campagna militare. Per ora ha reagito con l’artiglieria, i raid aerei e intercettando i gruppi che cercano di entrare in Israele. Il motivo di questa moderazione, si può supporre, è il desiderio di concentrarsi sulla Striscia di Gaza. Hezbollah cerca di dissuadere Israele dall’invadere il territorio palestinese, costringendolo a schierare le sue forze anche sul fronte settentrionale.

Hezbollah sta calibrando le sue risposte, scegliendo rappresaglie mirate alle azioni di Israele. La situazione è molto incerta: c’è un notevole rischio di errore di calcolo, che potrebbe portare a una guerra su più fronti tra Israele e i suoi nemici, cioè a una guerra regionale. Sembra che la decisione finale sarà presa dall’asse che unisce i leader iraniani a Teheran e il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, a Beirut. L’Iran deve decidere se mettere a rischio il suo progetto di punta, Hezbollah, nel tentativo di salvare Hamas da una grave disfatta. E deve considerare la possibilità di scivolare in un confronto militare indiretto.

Ostaggi e diplomazia

Intanto Israele deve affrontare la questione degli ostaggi. Il segretario di stato statunitense Antony Blinken ha dichiarato che Washington è in contatto con un altro paese, probabilmente il Qatar, per realizzare uno scambio di prigionieri. Si tratterebbe di un rilascio di donne e bambini israeliani in cambio di donne e minori palestinesi imprigionati in Israele per reati legati alla sicurezza. Hamas ha un certo interesse a un accordo di questo tipo, dopo che il suo orribile massacro di civili ha provocato un forte shock in tutto il mondo. Il movimento islamista si sta comportando come se avesse lanciato una guerra totale e non mostra alcun segno di voler arrivare a un compromesso, soprattutto da quando Israele ha annunciato l’intenzione di distruggerlo in ogni caso.

Gli obiettivi dell’operazione, presentati in termini piuttosto generici all’opinione pubblica, parlano dell’eliminazione del governo di Hamas o, in un’altra versione, delle sue capacità militari e organizzative. Sorgono altre domande: cosa farà Israele con il sud della Striscia di Gaza, dove saranno ammassati i civili con i militanti di Hamas certamente nascosti tra loro? L’ingresso a Gaza scatenerà una guerra lungo il confine nord di Israele?

Nei colloqui tenuti dai leader politici e militari israeliani, sullo sfondo della guerra nel sud e della tensione nel nord del paese, ci sono stati momenti in cui si è pensato a un allargamento del conflitto. Si può ipotizzare che l’arrivo di Blinken e poi del presidente statunitense Joe Biden non siano solo un’espressione di solidarietà, ma della necessità di Washington di accertarsi che Israele rimanga entro i limiti di una risposta dura nella Striscia di Gaza, dissuadendo al contempo l’Iran e Hezbollah dall’infiammare il nord. Il sostegno di Washington è forte, ma Israele non ha ottenuto dagli statunitensi carta bianca per fare quello che vuole per un tempo illimitato.

I mezzi d’informazione arabi riferiscono di tentativi iraniani di trasportare milizie sciite in Libano e in Siria e di un aumento delle spedizioni di armi. Secondo la difesa israeliana, finora non ci sono stati segnali di istruzioni iraniane ad Hamas su quando e come attaccare le comunità e le basi dell’esercito al confine con Gaza. Tuttavia, è chiaro che l’idea generale e la natura dell’attacco del 7 ottobre sono state formulate con gli iraniani e che Teheran ha contribuito alla costruzione della forza militare e all’addestramento di Hamas. Si può interpretare il sostegno iraniano al movimento palestinese come parte della lotta tra l’asse iraniano e l’asse statunitense-saudita in questa regione, con l’Iran che vuole interrompere la normalizzazione delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele.

Nell’ultimo decennio è stata costruita una grande ed efficace “macchina” per colpire simultaneamente più obiettivi. Questa macchina è ora collaudata a Gaza, ma il suo vero banco di prova arriverà in un confronto più grande, se scoppierà, con il Libano. ◆ dl

Da sapere
La posizione di Washington

◆Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e la risposta di Israele il governo statunitense ha cercato di trovare un equilibrio tra il sostegno al governo di Tel Aviv e la necessità di evitare un allargamento del conflitto nella regione. “Sono giorni intensi per il segretario di stato Antony Blinken, che nel giro di poco ha incontrato, oltre al premier israeliano Benjamin Netanyahu, i leader di Giordania, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto”, scrive Politico. Blinken ha messo in chiaro che Washington “coprirà sempre le spalle a Israele”, poi ha aggiunto: “La maniera in cui Israele risponde è importante. Deve farlo in modo da affermare i valori condivisi che abbiamo sulla vita e la dignità umana, prendendo tutte le precauzioni possibili per evitare di danneggiare i civili”. Queste parole sono state interpretate come un tentativo di convincere Israele a non lanciare un’invasione di terra della Striscia di Gaza. Lo sforzo diplomatico di Blinken serviva anche a preparare la visita di Joe Biden, che avrebbe dovuto mostrare agli attori regionali l’impegno americano in favore della pace. Ma i piani del presidente sono stati sconvolti dall’attacco a un ospedale di Gaza, che il 17 ottobre ha causato centinaia di morti e ha fatto salire la tensione in Palestina e in altri paesi a maggioranza musulmana. Il 18 ottobre Biden ha incontrato Netanyahu a Tel Aviv, ma è stato cancellato il vertice previsto in Giordania con il re Abdallah II, il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen e il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi.


Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1534 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati