L’università di Padova è famosa fin dal medioevo, perché i suoi medici furono i primi a dissezionare i corpi umani per studiarne l’anatomia. Oggi la dottoressa Maria Teresa Gervasi, che dirige il reparto di ostetricia della facoltà di medicina, seziona la crisi demografica che affligge la città.

Padova, vivace sia dal punto di vista economico sia da quello culturale, dal 2010 al 2020 ha registrato un calo delle nascite annuali del 27 per cento, tanto che le scuole elementari rischiano di doversi unire ad altri istituti o dover chiudere a causa dei pochi iscritti.

Ma l’amministrazione dell’ospedale universitario – con circa novemila dipendenti, di cui il 70 per cento è costituito da donne – sta resistendo alla richiesta di un asilo nido interno per conciliare le esigenze familiari e gli orari irregolari del suo personale sanitario.

Questo, spiega Gervasi, è lo specchio di quello che gli italiani, preoccupati, hanno definito il loro “inverno demografico”. Il numero delle nascite continua a scendere perché molte donne rimandano la decisione di avere figli o ci rinunciano. L’Italia è molto indietro rispetto a tanti paesi europei nel sostegno alle madri che lavorano. “Anche le donne che vorrebbero avere dei figli ci rinunciano perché il contesto sociale non le aiuta, soprattutto quelle che lavorano”, dice Gervasi. “Le donne sono ancora le principali responsabili della cura dei figli, senza alcun sostegno da parte dello stato. Perciò aspettano, fino a quando non è troppo tardi”. Il basso tasso di natalità e l’invecchiamento della popolazione sono un problema per diverse economie avanzate, come quelle dei paesi europei, del Giappone e della Cina, che oggi si trova ad affrontare le conseguenze della sua drastica politica del figlio unico.

I problemi principali dell’invecchiamento della popolazione sono la pressione sui sistemi pensionistici e sanitari, le ripercussioni sulle finanze pubbliche e la mancanza di forza lavoro, compresa quella che si occupa degli anziani.

La crisi demografica italiana è una delle più gravi in Europa. È il risultato di decenni di stagnazione economica e di indifferenza dei politici nei confronti delle aspirazioni delle donne. L’Italia si considera un paese tradizionalista basato sulla famiglia e lo stereotipo della madre devota che si sacrifica per i figli è ancora molto diffuso. Dalle indagini dell’istituto nazionale di statistica (Istat), emerge che il 46 per cento degli italiani idealmente vorrebbe avere due figli, mentre il 21,9 per cento tre o più. Tuttavia, il tasso di fecondità, cioè il numero medio di figli per donna, che nel 2021 era di 1,24, è da anni uno dei più bassi in Europa. Nel 2022 l’Italia ha registrato solo 393mila nascite, l’1,8 per cento in meno del 2021, il 27 per cento in meno di vent’anni fa e il numero più basso dal 1861, anno dell’unità nazionale.

Il governo aiuta le madri solo con bonus, sconti su pannolini e omogeneizzati

L’Istat descrive uno “scenario di crisi”, con la possibilità concreta che l’Italia passi dagli attuali 59 milioni di abitanti a 48 milioni nel 2070, con un’età media di cinquant’anni. Un dato che metterebbe ulteriormente in difficoltà un’economia gravata dal più alto debito pubblico in Europa. Secondo alcuni istituti demografici indipendenti, questa previsione è perfino ottimistica e presuppone un aumento del tasso di fecondità a 1,5 figli per donna.

Retorica preoccupante

La presidente del consiglio Giorgia Meloni – il cui partito, Fratelli d’Italia, si ispira al motto “Dio, patria e famiglia” – sta lanciando l’allarme. Il suo governo è deciso a invertire la tendenza e a incoraggiare le donne ad avere più bambini, offrendo sconti fiscali e altri incentivi economici.

“I figli sono la prima pietra della costruzione di qualsiasi futuro”, ha dichiarato Meloni, prima donna in Italia a guidare un governo, durante un convegno sulla crisi demografica organizzato a maggio in Vaticano. “Abbiamo fatto della natalità e della famiglia una priorità assoluta della nostra azione. E lo abbiamo fatto banalmente perché vogliamo che l’Italia torni ad avere un futuro”.

Eugenia Roccella, 69 anni, ministra della famiglia, della natalità e delle pari opportunità, che negli anni settanta è stata una femminista e un’attivista per il diritto all’aborto, ma in seguito ha appoggiato le politiche della destra, afferma che le donne dovrebbero considerare una scelta valida occuparsi dell’educazione dei figli. “La maternità è stata molto sminuita”, dice. “Se dico che sono una madre non ottengo alcun riconoscimento sociale. Se dico che sono una donna in carriera è diverso. Devono esserci gratificazioni sociali anche per chi dice ‘Sono una madre’”.

Il calo delle nascite, accompagnato dall’aumento degli arrivi di migranti irregolari dall’Africa e dall’Asia, alimenta anche una retorica preoccupante. Sulla copertina del 3 maggio del settimanale Panorama è apparsa una mappa dell’Italia con delle foto di neri e donne musulmane velate, con il titolo “L’Italia senza italiani”, che ha provocato accese polemiche sui social network ed è stata accusata di razzismo. Il ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida ha dichiarato pubblicamente che, se non riprenderanno a fare figli, gli italiani rischiano un’imminente “sostituzione etnica”. “Gli italiani fanno meno figli, quindi li sostituiamo con qualcun altro”, ha dichiarato Lollobrigida, cognato di Meloni, durante un incontro con i sindacati.

La lente patriarcale

Ma gli economisti e i demografi sono scettici sul fatto che gli incentivi economici e la propaganda a favore della maternità bastino a far aumentare le nascite in una società in cui crescere figli è spesso considerato incompatibile – ideologicamente o praticamente – con un lavoro. Quello di cui le donne hanno veramente bisogno per fare più figli e conciliare lavoro e famiglia, sostengono alcune docenti universitarie femministe, sono migliori opportunità d’impiego e maggior sostegno da parte sia dello stato sia degli uomini della loro vita.

Chi critica il governo di destra teme che l’esecutivo veda la crisi della fertilità attraverso una lente patriarcale, che si concentra sul rendere economicamente più appetibile per le donne restare a casa a crescere i figli.

“Parlano tanto di famiglia e di aiutare le donne a diventare madri, ma non di favorire l’occupazione femminile”, dice Azzurra Rinaldi, un’economista dell’università Sapienza di Roma. “Il quadro è molto chiaro: il tuo dovere principale è essere madre”.

L’ultimo baby boom italiano, con tassi di fecondità ben al di sopra del 2,1, che i demografi considerano necessario per garantire il ricambio generazionale, si è verificato durante il miracolo economico del secondo dopoguerra, un periodo di crescita sostenuta e ottimismo sociale. Al suo apice, nel 1964, l’Italia ha registrato un milione di nascite. Ma dagli anni settanta i nuovi nati sono diminuiti perché le donne più istruite hanno rinviato la maternità per entrare in un difficile mercato del lavoro. “Le donne hanno cercato prima di consolidare la loro posizione nel mercato del lavoro e poi di mettere su famiglia”, dice Maria Rita Testa, che insegna demografia all’università Luiss di Roma.

Altri paesi europei, come Svezia, Germania e Francia, hanno risposto a questa tendenza aumentando l’assistenza all’infanzia, favorendo il lavoro flessibile e la parità di genere all’interno delle coppie. Questo ha dato i suoi frutti creando quello che l’economista Rinaldi definisce un circolo virtuoso di donne che lavorano e crescono figli.

Primo giorno di scuola. Molfetta, Bari, 24 settembre 2020 (Davide Pischettola, NurPhoto/Getty)

Oggi in tutta Europa un maggiore tasso di fecondità è correlato a tassi di occupazione femminile più alti, entrambi conseguenza sia delle maggiori aspirazioni delle donne sia dal fatto che crescere i figli con un unico reddito in famiglia è difficile. Ma l’Italia ha il tasso di occupazione femminile più basso dell’Unione europea: poco meno del 52 per cento delle donne in età lavorativa ha un impiego retribuito, circa il 20 per cento in meno della Germania.

A differenza di altri paesi europei, l’Italia è ancora aggrappata all’idea che i bambini debbano stare a casa con la madre fino a sei anni, quando comincia l’obbligo scolastico. Anche questo ha avuto conseguenze demografiche: più del 22 per cento delle nate negli anni ottanta non ha figli, rispetto al 15 per cento delle francesi. “L’Italia non ha fatto quasi nulla”, dice Testa. “L’unico aiuto che le donne hanno avuto finora è stato quello dei genitori e dei suoceri”.

Al centro del dibattito

Oggi, i posti negli asili nido pubblici sono ancora insufficienti, mentre i servizi privati sono così costosi da consumare una grossa fetta dei guadagni delle lavoratrici. Le cose non diventano più facili quando i bambini crescono. Le lezioni alle scuole secondarie di primo grado in genere finiscono all’ora di pranzo e solo in rarissimi casi ci sono mense e attività di doposcuola. “Tutto è organizzato a partire dal presupposto che le madri sono a casa”, dice Maria Letizia Tanturri, che insegna demografia all’università di Padova, anche lei madre e lavoratrice.

Nonostante la percentuale delle donne italiane senza figli e lavoratrici rientri nella media europea, le madri invece tendono a lasciare il loro impiego per occuparsi della famiglia oppure sono costrette ad accettare contratti part-time o a breve termine. Secondo la Banca d’Italia, quindici anni dopo la nascita del primo figlio, le madri che lavorano guadagnano solo la metà delle donne senza figli con età, competenze e stipendi iniziali simili.

“Ho pazienti che, avendo avuto due figli, hanno deciso di rimanere a casa perché non ce la facevano più”, dice l’ostetrica Gervasi.

Meloni si è lamentata del fatto che molte donne “non possono realizzare il loro desiderio di maternità senza dover rinunciare alla propria realizzazione professionale”, ma ha anche inviato segnali ambigui sul tema.

Da sapere
I bambini sono pochi
Tasso di fecondità, numero medio di figli per donna (Fonti: Nazioni Unite, Financial Times)

Molte femministe sono rimaste sorprese dal fatto che la presidente del consiglio abbia portato con sé la figlia Ginevra al vertice del G20 di Bali, in Indonesia, e si sono chieste perché, mentre rappresentava l’Italia sulla scena mondiale, Meloni dovesse prendersi cura della figlia in prima persona e perché il padre della bambina non avesse potuto aiutarla. La presidente del consiglio ha reagito con rabbia dichiarando su Facebook: “Ho il diritto di fare tutto il possibile per questa nazione senza privare Ginevra di una madre”.

Il modo in cui queste pressioni influiscono sulla scelta delle donne è ora al centro del dibattito pubblico, con libri come Non è un paese per madri (Laterza 2022), in cui Alessandra Minello analizza il peso della maternità sulle prospettive economiche delle italiane.

E con I figli che non voglio (Mondadori 2022) di Simonetta Sciandivasci, una serie di saggi sulla decisione di mettere o meno al mondo un figlio.

La ministra Roccella sostiene che in Italia ci vuole una “rivoluzione culturale” che renda più facile per le donne realizzarsi a livello sia personale sia professionale. “La mia generazione è stata multitasking, abbiamo cercato di fare tutto”, dice. “Oggi le ragazze sono stufe. Giustamente non vogliono fare il doppio degli uomini. Non vogliono fare tutti i sacrifici che abbiamo fatto noi, e hanno ragione”.

Da sapere
Si torna agli anni sessanta
La popolazione in Italia in base alle stime delle Nazioni Unite, milioni (Fonti: Nazioni Unite, Financial Times)

Ma non è chiaro come il governo Meloni intenda aiutarle. Finora ha dimezzato l’iva sui prodotti per l’infanzia, come i pannolini e gli omogeneizzati, istituito un nuovo bonus per le famiglie con quattro o più figli, e ridotto le tasse sullo stipendio dei dipendenti con figli. Queste iniziative vanno a integrare un programma lanciato dal governo precedente nel 2021 che prevede un aiuto mensile alle famiglie – da cinquanta a 175 euro a seconda del reddito – per ogni figlio, dalla nascita a 21 anni. Ma il progetto di spendere quattro dei circa duecento miliardi di euro del fondo europeo per la ripresa in nuovi asili, creando così 264mila posti per i bambini sotto i sei anni, è ancora molto indietro.

Il governo sta spingendo i datori di lavoro ad adottare politiche favorevoli alle famiglie, come gli orari flessibili e gli asili interni alle aziende, ma un’economia ancora dominata dalle piccole e medie imprese a conduzione familiare non può fare più di tanto. In Italia, oltre un terzo dei lavoratori è costituito da autonomi e dipendenti precari con contratti a breve termine.

Anche se Meloni invita gli italiani a “riscoprire la bellezza di essere genitori”, il suo governo vede ancora la famiglia come un privilegio al quale alcuni, come le persone della comunità lgbt+, non hanno diritto. La fecondazione assistita permessa solo alle coppie eterosessuali è un ostacolo che il governo non ha intenzione di rimuovere.“Quali che siano le legittime scelte e libere inclinazioni dei singoli, siamo tutti nati da un uomo e una donna”, dice Meloni. “I bambini non sono prodotti che si possono comprare come al supermercato”.

A Padova molte ragazze – scoraggiate dagli stereotipi tradizionali e dalle schiaccianti aspettative sociali delle loro madri – pensano che avere figli richieda un livello di sacrifici che non sono disposte a fare. “Qui molte pensano che se diventi madre, la tua vita è finita”, dice la demografa Tanturri. “Questo è il messaggio che trasmettono le vecchie generazioni”.

La scrittrice Marta Zura-Puntaroni, 35 anni, si è trasferita nel centro storico della città veneta tre anni fa per raggiungere il fidanzato ricercatore all’università, e ha visto alcune delle sue amiche soffrire per l’isolamento e la difficoltà di continuare a lavorare dopo che hanno avuto un figlio. Non ha intenzione di seguirle. “Non sento mai il bisogno di avere figli”, dice. “Anche se il mio compagno è una persona meravigliosa – è femminista e si occupa con me della cucina e dei lavori domestici – non credo che sarebbe la stessa cosa se avessimo un figlio. La maggior parte della cura dei bambini è affidata alla madre, ancora oggi. Lui non dovrebbe cambiare il suo stile di vita tanto quanto me”.

Contatto tra i popoli

Zura-Puntaroni, che si guadagna da vivere anche come influencer sui social network, racconta di un’amica, un’esperta di comunicazione, che da quando ha avuto un bambino ha perso il contratto di consulenza che aveva da tempo con un’azienda importante. “Molte di noi sono libere professioniste quindi non è facile decidere di avere un figlio”, dice. “Non ho problemi di soldi, ma il mio stile di vita sarebbe molto diverso. Tutto il denaro che spendo per me, per la casa, i viaggi, il vino – tutti i miei lussi – lo dovrei usare per il bambino”.

Dall’altra parte della città, il quartiere di Arcella ospita molti dei trentaseimila immigrati di Padova, che in totale ha 209mila abitanti. È una delle poche zone in cui le scuole e i parchi giochi sono pieni. Secondo la consigliera comunale Francesca Benciolini, questo quartiere etnicamente misto è una parte vitale della città e trova irritante la retorica allarmista del governo contro gli immigrati. “L’Italia è un posto in cui fin dall’inizio sono stati in contatto tra loro tutti i popoli del Mediterraneo”, dice. “Fa parte della nostra storia. E ora pensiamo che sia in atto una sostituzione etnica? È pazzesco”. La demografa dell’università di Padova Maria Castiglioni afferma che l’Italia dovrà abituarsi all’idea dell’immigrazione come soluzione al problema della mancanza di manodopera e del calo della popolazione. “Abbiamo bisogno di persone”, dice. “Certo il flusso dev’essere regolamentato, ma in termini pratici. Siamo troppo ideologici. Abbiamo bisogno di migranti, ma dobbiamo cambiare il nostro atteggiamento nei loro confronti e vederli come una risorsa invece di un peso”.

Tuttavia, secondo i demografi, anche tra le minoranze il tasso di natalità tende a scendere a mano a mano che si integrano.

Giada Wang, 35 anni, è nata in Italia da genitori cinesi e ha acquisito la cittadinanza a diciotto anni come prevede la legge. Un anno fa lei e il marito Wu Jing, anche lui di origine cinese, hanno aperto lo Xiang Dim Sum, un popolare ristorante con 28 posti. Vorrebbe avere un figlio, ma per ora ha messo da parte l’idea perché deve lavorare per garantire il successo della sua attività. “Nessuno è contrario ad avere figli. Per natura le persone tendono a volerli”, dice. “Questa tendenza a non farli è dovuta alla mancanza di sostegno. Il vento ora non è favorevole. Per me avere un figlio non è una priorità. Forse l’anno prossimo”. ◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1517 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati