Cultura Schermi
Nope
Daniel Kaluuya, Keke Palmer
Stati Uniti / Giappone 2022, 130’. In sala
Nope (dr)

L’essenza del cinema è il simbolo: filmare un’azione che implica qualcos’altro e che trae la sua identità da quello che sta fuori dallo schermo. C’è molta azione in Nope di Jordan Peele, ed è fantasioso ed emozionante se visto solo come miscela di generi: un film di fantascienza che è anche un western contemporaneo. Una premessa con un enorme, intrinseco potere simbolico, visto che i due generi sono accomunati dal concetto dell’arrivo di estranei indesiderati (gli alieni sulla Terra come i bianchi nel continente americano). Ma Peele porta avanti il concetto. Nope è una fantasmagorica storia sui neri nel west, indesiderati tra gli indesiderati, ed è ambientata ai nostri tempi, quindi in un west la cui mitologia è quella costruita da Hollywood. Ancora, Nope è un grande film sul cinema, sulle implicazioni morali e spirituali della rappresentazione cinematografica. È un film di exploitation, sull’exploitation e sulla storia cinematografica dell’exploitation come essenza stessa del mezzo. Otis (Keith David) ha una fattoria in California in cui alleva cavalli che fornisce a set di film, serie e spot pubblicitari. Quando muore misteriosamente, colpito da una specie di scheggia proveniente dal cielo, i figli O.J. (Daniel Kaluuya) ed Emerald (Keke Palmer) sono in qualche modo costretti a rilevare l’azienda del padre e, poi, a lottare contro il misterioso ufo che ha ucciso Otis. Basta con gli spoiler, è giusto che ognuno si goda pienamente i tanti e ingegnosi colpi di scena concepiti da Peele.
Richard Brody, The New Yorker

Prey
Amber Midthunder, Dakota Beavers
Stati Uniti 2022, 99’. Disney+
Prey (dr)

La parola prequel mi fa venire l’orticaria. Spesso ormai non significa molto di più di un cinico modo per spemere un altro po’ di succo da una serie già esaurita, o un reboot che aggiunge un velo di ironia a un originale molto amato dal pubblico. Prey è diverso. Diretto da Dan Trachtenberg (10 Cloverfield lane), rimane fedele all’essenza del primo Predator (1987) ma è anche un film soddisfacente preso di per sé. È ambientato nella nazione comanche, trecento anni fa. La protagonista è Naru (la formidabile Amber Midthunder), una guerriera e abile cacciatrice impegnata in un lungo corpo a corpo con una società patriarcale. Il selvaggio sfondo naturale, con lupi, foreste e tramonti infuocati, sembra uscito da una cartolina, almeno finché non è ricoperto dal sangue e dalle membra strappate di un gruppo di orribili coloni arrivati dall’altra sponda dell’Atlantico.
Wendy Ide, The Observer

Non sposate le mie figlie 3
Christian Clavier, Chantal Lauby
Francia / Belgio 2021, 89’. In sala

Torna una delle famiglie preferite dei francesi. Un piccolo riassunto. Le quattro figlie dei cattolicissimi coniugi Verneuil, Claude e Marie, sono sposate con un nero, un arabo, un ebreo e un cinese. Nel secondo film, i generi minacciano di voler lasciare la Francia e i Verneuil si battono per farli rimanere (e con loro le loro figlie). All’inizio di questo terzo capitolo la situazione è rovesciata. I due coniugi (in particolare Claude) fanno di tutto per evitare l’invadente presenza dei generi, anche se le figlie hanno organizzato una grande festa per l’anniversario di matrimonio dei genitori. La coppia formata da Christian Clavier e Chantal Lauby non ha perso il suo mordente nell’incarnare la vecchia Francia conservatrice. Solo Pascal Nzonzi riesce a tenere il loro passo. Gli altri sembrano avere poco da dire.
Etienne Sorin, Le Figaro

Fire of love

Nel giugno 1991 il vulcano Unzen, in Giappone, eruttò. Lì, con le loro telecamere in funzione, c’erano Katia e Maurice Krafft, una vulcanologa e un regista francesi, moglie e marito, celebri per le loro incredibili riprese ravvicinate delle eruzioni vulcaniche. I due rimasero uccisi insieme ad altre 41 persone. Il documentario di Sara Dosa offre una visione romantica del lavoro dei Krafft, due persone coraggiose, la cui dedizione ha cambiato la nostra comprensione dei vulcani. Possiamo condividere la loro esperienza, osservando la potenza della Terra come se ci trovassimo sul bordo di un cratere.
Katie Smith-Wong, New Scientist

Altro da questo numero
1474 - 19 agosto 2022

Articolo precedente

Cultura Schermi
Cultura, Documentari, numero 1474

Articolo successivo

Cultura Libri
Guerra
Abbonati a Internazionale per leggere l’articolo.
Gli abbonati hanno accesso a tutti gli articoli, i video e i reportage pubblicati sul sito.
Sostieni Internazionale
Vogliamo garantire un’informazione di qualità anche online. Con il tuo contributo potremo tenere il sito di Internazionale libero e accessibile a tutti.