Cultura Suoni
Beware of the monkey
MIKE (Nuvany David)

Fin dalla sua collaborazione al brano The mint di Earl Sweatshirt nel 2018, il rapper newyorkese MIKE ha orbitato nello stesso spazio dell’hip hop sperimentale di cui Sweatshirt è considerato un pilastro. Questo percorso continua nel suo ottavo progetto, Beware of the monkey, anche se i metodi e le lezioni apprese dal precedente Disco!, il lavoro più pop della sua carriera, hanno dato nuove sfumature alla sua personalità. Il brano di apertura nuthin I can do is wrng ci dà il benvenuto, e sembra di stare in prima fila in un locale umido nel seminterrato. MIKE rappa in modo disinvolto, del resto questo è il suo marchio di fabbrica. Sembra annoiato, ma in realtà è semplicemente a suo agio con quello che scrive. Fa rime sul dolore e la determinazione come se avesse già vissuto un centinaio di vite. Pesca campionamenti dai cimiteri delle radio am, creando uno stile che fa pensare a una versione inquietante del vecchio funk riesumato da Kanye West. Ma non mancano momenti pop, come quando prende in prestito un beat reggae di Sister Nancy per Stop worry! o No curse lifted (rivers of love), dove si sconfina nelle colonne sonore di videogiochi. MIKE continua a sfogliare vecchie collezioni di vinili e nastri danneggiati per trovare quel perfetto connubio tra lo-fi e hip hop moderno. Usa le chitarre latine in Tapestry per costruire atmosfere romantiche. La sua strategia per fare la spola tra nostalgia e modernità non è mai scontata. Ecco un ragazzo di neanche 25 anni che ama i suoni antichi del passato, e riesce a usarli bene anche nel 2023.
Tim Sentz, Beats Per Minute

Every loser
Iggy Pop (Antoine Merlet, Hans Lucas/Contrasto)

Con ospiti del calibro di Chad Smith (Red Hot Chili Peppers), Duff McKagan (Guns N’ Roses) e Taylor Hawkins (Foo Fighters), esplode subito con le chitarre selvagge del singolo Frenzy, un pezzo ispirato al feroce Search and destroy degli Stooges. Il latrato del padrino del punk è il solito di sempre. Iggy Pop ulula selvaggiamente su chitarre taglienti, descrivendo la sua irrequietezza: “Sono stufo del gelo, sono stufo della malattia. Sono in preda alla frenesia”. Con una citazione dell’album Raw power del 1973, Strung out Johnny rallenta il ritmo che riecheggia Gimme danger. Caratterizzato da sintetizzatori new wave, il brano è una ballata sulla dipendenza. New Atlantis, invece, è un’ode romantica alla patria adottiva di Iggy Pop, Miami. Il cantante diventa apocalittico tra le riflessioni su truffatori, spacciatori e criminali senza sacrificare il suo senso dell’umorismo. Nonostante alcuni momenti goffi, Every loser dimostra che l’Iguana non solo ha ancora qualcosa da dire, ma continua a trovare modi entusiasmanti per dirlo.
Fred Barrett, Slant

Quando si pensa ai dischi di Walter Gieseking, inevitabilmente vengono in mente le integrali di Debussy, Ravel e Mozart, ancora fondamentali; qualche suo cavallo di battaglia con l’orchestra; e le deliziose miniature di Grieg e Mendelssohn. Uno dei meriti di questo grande cofanetto, con una rimasterizzazione eccellente, è di farci sentire l’interprete nel repertorio per cui è meno noto – Chopin,
Franck, Liszt, Scarlatti, Schubert – ma anche alle prese con autori più rari (Poulenc, Sinding), che ci ricordano come Gieseking fosse uno specialista della musica sua contemporanea. Un’altra bella possibilità è quella di mettere a confronto – nei concerti di Beethoven, Grieg, Mozart o Schumann, per esempio – le sue collaborazioni con direttori diversi tra loro come Böhm, Galliera, Karajan, Kubelík, Rosbaud e Walter. L’ascolto conferma che questo pianista non finì mai di perfezionarsi. Certo, invecchiando, il gigante dalle dita di velluto non ritrovò mai la potenza appena trattenuta, la vitalità scarmigliata di quando era giovane. Ma dall’inizio alla fine impone una scienza assoluta del pedale e della capacità di plasmare l’impasto sonoro. Un’arte allo stesso tempo raffinata e tellurica.
Gérard Belvire, Classica

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1493 - 5 gennaio 2023

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