Cultura Suoni
Radical romantics
Fever Ray (Nina Andersson)

Radical romantics è una riflessione sull’amore e le sue macchinazioni, ma è fatta nel modo contorto che ti aspetteresti da Fever Ray. Quindi scordatevi le ballate sdolcinate. L’album presenta anche la prima collaborazione tra l’artista svedese, al secolo Karin Dreijer, e suo fratello Olof dopo lo scioglimento del duo svedese The Knife nel 2014. Tra gli altri collaboratori ci sono Trent Reznor e Nídia, il che rende Radical romantics un disco abbastanza vario. Olof Dreijer ha coprodotto i primi quattro brani, dove si sente la Fever Ray “normale”: elettronica, percussioni grandiose (What they call us) o balbettanti (New utensils) e la voce di Karin Dreijer che riesce a essere sia dolce sia inquietante. Il singolo Carbon dioxide arriva nella seconda metà dell’album con suoni orecchiabili, quasi euro disco. E poi ecco North, una delle canzoni più meditative della carriera di Fever Ray. Radical romantics è una raccolta di canzoni senza un particolare filo conduttore, ma per fortuna ogni brano è così pieno di suoni meravigliosi da renderlo un altro album eccellente dell’artista svedese.
Lewis Wade, The Skinny

Brothers and sisters
Steve Mason (Tom Marshak)

Steve Mason non ha usato mezzi termini per dire da dove viene l’ispirazione per il suo quinto lavoro da solista: “Per me tutto il disco è un gigantesco vaffanculo alla Brexit e a chi è terrorizzato dall’immigrazione, perché l’immigrazione ha portato solo cose belle al mio paese”. E così queste undici canzoni sono segnate da un’influenza internazionale. Questa combinazione alleggerisce la rabbia del musicista scozzese, lasciandola levitare verso vette più spirituali. Mason è da sempre un artista inquieto, che dall’indie rock della Beta Band ha preso strade in cui i generi sono meno definibili. In Brothers and sisters apre con dei synth alla Vangelis (Mars man) che fioriscono in una combinazione di nefaste percussioni militari, un cantato melodico e un testo impressionista che parla di un “eccitamento celestiale”. E tutto l’album presenta accostamenti simili, anche se molto più funk. Uno dei brani più rappresentativi è No more, che ospita il cantante pachistano Javed Bashir. Mason è affiancato anche da coristi gospel e insieme a tutti loro riesce a creare qualcosa di appassionato, esaltante, a cui è difficile resistere. La produzione forse avrebbe potuto essere più energetica. Questi suoni andrebbero esaltati nella loro potenza, mentre alla fine tutto risulta un po’ troppo beneducato. La forza resta tuttavia nell’originalità della scrittura e nelle idee, come l’electro funk indiano di Brixton fish fry o il gospel blues alla Primal Scream di Upon my soul. Steve Mason sarà presto in tour e dal vivo questo disco darà il suo meglio.
Thomas H Green, The Arts Desk

Da Louis, il maggiore (1692 circa-1745), a Louis-Joseph (1738-1804) passando per François (1698-1787), la famiglia Francœur ha illuminato l’orchestra dell’Opéra di Parigi segnando allo stesso tempo lo sviluppo tecnico del violino. Ce lo ricorda questo programma, che presenta molte prime registrazioni assolute. Quattro sonate per violino e clavicembalo sono accompagnate da movimenti sciolti e da arrangiamenti dell’opera Pyrame et Thisbé, composta da François Francœur e François Rebel. Lungo questi trentuno pezzi è un piacere ascoltare la retorica coreografica sfoggiata da Théotime Langlois de Swarte. Colpiscono soprattutto la chiarezza del tratto e la capacità di muoversi con spigliatezza attraverso i capricci richiesti all’archetto. È un violino che risplende di una sonorità piena di grazia o di un canto travolgente. In questo è più che semplicemente accompagnato da Justin Taylor, che realizza un continuo fraterno. Nel disco incontriamo molte sorprese, fino all’enigmatico finale, che enuncia: “Per piacere, l’arte non può essere che una debole impostura”. Quella mostrata dalla perfezione di questi due musicisti è un’impostura inestimabile.
Jérémie Bigoire, Classica

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1502 - 10 marzo 2023

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