Durante la lettura del romanzo d’esordio di Suzan-Lori Parks, ho pensato spesso al titolo (in inglese Getting mother’s body – Recuperando il corpo di mia madre). A prima vista sembra A un chiaro riferimento alla ricerca del personaggio principale, la sedicenne Billy Beede, che decide di dissotterrare i resti di sua madre per recuperare i gioielli con cui si diceva fosse stata sepolta. Ma il titolo può anche essere letto in un altro modo: la giovane Billy è incinta, poverissima e senza marito. Il bambino che implora di “rimanere piccolo” nel suo ventre sempre più visibile le ricorda non solo le scelte che ha fatto lei ma anche quelle fatte da sua madre, Willa Mae Beede, una donna scapestrata, amante del divertimento e cantante blues. Billy, alla soglia dell’età adulta, seguirà l’esempio di sua madre o costruirà un suo percorso più costante e solido? Guardare le cose da prospettive diverse è la specialità di Parks. La storia di Billy è raccontata solo in parte attraverso i suoi occhi. Intervengono anche molti altri sguardi: la zia June e lo zio Teddy; Dill Smiles, l’amante di lunga data di sua madre; Clifford Snipes, l’uomo sposato che l’ha messa incinta, e Laz Jackson, il ragazzo del posto che la ama davvero. Le voci e le storie si susseguono creando un romanzo immediato ma con dimensioni e colori, sfumature e profondità notevoli. Nella Fortuna dei Beede sono evidenti le capacità teatrali di Suzan-Lori Parks che nel 2002 ha vinto il premio Pulitzer con il dramma teatrale Topdog/Underdog.
Amy Reiter, Salon (2003)
Con il suo eroe, un pastore dell’alto Giura appassionato di osservazione degli animali, amante dei temporali, del rumore dei tuoni e dei lampi più di ogni altra cosa, Il fulmine sembra inserirsi nel filone della scrittura naturalistica, un genere letterario che ha come protagonisti i grandi spazi e il mondo selvaggio. Invece il nuovo romanzo di Pierric Bailly trae la sua vera energia dal recupero di un tema senza tempo come il triangolo amoroso. Più che la vita della fauna e della flora, è quella delle emozioni la fonte viva del movimento narrativo di un romanzo che manda in cortocircuito le aspettative di chi vorrebbe una meditazione sulla grandezza e la maestosità della natura. In questo paesaggio romantico Julien s’innamora di Nadia, la compagna di Alexandre, ex amico del liceo e sente che i suoi sentimenti per lei si elevano ad altezze che non aveva mai conosciuto. Questa grande storia d’amore è tanto inevitabile quanto travolgente. Il narratore si chiede se abbia sbagliato da adolescente a fare di Alexandre il proprio modello: era arrivato al punto di “prendere in prestito” la sua risata, che considerava più contagiosa della sua. Avrebbe dovuto mettere in discussione anche l’immagine coltivata dal suo amico che si presentava come un “ragazzo gentile, sensibile e intelligente” e attivista ambientalista? Anche perché il “dolce ragazzo” è appena stato arrestato per omicidio, dopo aver colpito un giovane con una tavola nel corso di una discussione.
Florence Bouchy, Le Monde
Questa nuova raccolta di racconti di Vollmann può essere letta come un febbrile diario di viaggio contemporaneo. È un bollettino di guerra dal mondo di coloro che lo scrittore Pico Iyer ha chiamato “transit lounger”, i nuovi vagabondi senza radici che sfrecciano tra città e continenti come attraverso porte girevoli, divisi tra un estremo cosmopolitismo e la perdita di casa. Il libro si apre a San Francisco, il centro della bussola psicologica di Vollmann, con il narratore che si prepara a partire. In questo primo racconto la crescente ansia da viaggio del narratore raggiunge il culmine in un’immaginaria incursione a Las Vegas dove, dopo aver tracannato diversi margarita, vomita i corpi dei suoi amici abbandonati nella piscina di un hotel. Quando i loro volti riappaiono sulle monete che tiene in mano, cerca disperatamente di giocarle alle slot machine. Qui la fantasia inquietante ed esagerata di William T. Vollmann ha un peso emotivo, anche se troppo spesso in questa raccolta la sua voce diventa allucinatoria senza essere rivelatrice di gran che. La prosa di Vollmann risuona meglio in scene individuali, come nei brevi “epitaffi” che si alternano alle storie. Una strana nostalgia pervade questi racconti che descrivono vite mai stanziali e perennemente in movimento.
Catherine Bush, The New York Times (1993)
Difficile immaginare una saga familare più intensa e drammatica di quella di Kevin Chen, vincitore nel 2020 del Taiwan literature award. Città fantasma ricorda le narrazioni oniriche di Can Xue e Gabriel García Márquez e richiederà ai suoi lettori di aggrapparsi saldamente al loro senso della realtà perché la prosa qui confonde i confini tra vivi e morti, passato e presente e, infine, tra colpevoli e innocenti. Perseguitato per la sua omosessualità, sia dai compagni di scuola sia da una madre particolarmente severa, Keith Chen, il protagonista, fugge da Yongjing per vivere una vita libera e bohémien a Berlino, dove comincia una storia d’amore con un tedesco di nome T. Alla fine del primo capitolo Keith rivela di aver assassinato T, senza dire come o perché. Dopo aver scontato la sua pena Keith torna a Yongjing per la prima volta in molti anni. Anche se parte come un giallo il cuore del romanzo è la storia di Keith, un uomo gay cresciuto in una cittadina rurale e molto conservatrice.
Leland Cheuk, Npr
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