Cultura Schermi
Wildlife
Jake Gyllenhaal, Carey Mulligan
Stati Uniti 2018, 104’. Netflix
Wildlife (dr)

Alla veneranda età di 34 anni Paul Dano ha deciso di debuttare alla regia. E la star del cinema indie statunitense non si è neanche reso la vita particolarmente facile, decidendo di adattare per lo schermo un libro di Richard Ford, lo scrittore premio Pulitzer la cui prosa scarna e tormentata gli è valsa il paragone con Raymond Carver. Wildlife è la storia di un nucleo familiare – padre, madre, figlio adolescente – negli anni sessanta che esplode come una bomba atomica. Attraverso gli occhi del giovane Joe (Ed Oxenbould, che fa pensare un po’ allo stesso Dano) vediamo il padre Jerry (Jake Gyllenhaal), appena licenziato, e la madre Jeanette (Carey Mulligan), avviata all’alcolismo, che imboccano una spirale discendente. Al contrario di molti film del genere, l’obiettivo non è puntato sui confronti tra i due protagonisti, ma si concentra su quello che non viene detto, sui pesanti silenzi che accompagnano la cena. Gyllen-haal è un ottimo cane bastonato, ma la scena la ruba Mulligan con la sua perfetta casalinga travolta da una pesante crisi esistenziale. Dano e Zoe Kazan (sua compagna nella vita e cosceneggiatrice del film) hanno creato un dramma malinconico e dettagliato che ti fa innamorare dei tre protagonisti e poi ti spezza il cuore. Nick De Semlyen,Empire

Une colonie
Émilie Bierre, Irlande Côté, Jacob Whiteduck-Lavoie
Canada 2019, 102’. Mubi

Modesto, semplice ma profondamente umano, il film di Geneviève Dulude-De Celles racconta il passaggio dall’infanzia all’adolescenza dell’introversa Milya. Lasciata la campagna dov’è cresciuta per affrontare una nuova scuola e un nuovo ambiente che le appare ostile, Milya imparerà a conoscersi meglio attraverso l’amicizia con Jimmy, un ragazzo nativoamericano emarginato che vive in una riserva della zona. Dulude-De Celles ha evidentemente a cuore il destino degli esclusi, non ha paura di lasciare i sentieri battuti e commuove affrontando con tono sincero temi come molestie, razzismo e conformismo. Formidabile la giovane Émilie Bierre. Veronica Sawyer, FilmsActu

Zack Snyder’s Justice League
Ben Affleck, Amy Adams, Gal Gadot, Henry Cavill
Stati Uniti 2021, 242’. Sky, Now
Zack Snyder’s Justice League (dr)

Dopo la morte di Superman la Terra è vulnerabile alle minacce che vengono da altri mondi. Tocca a Batman mettere insieme un team di supereroi per difendere il pianeta. Zack Snyder è un regista di cinema d’azione che più di altri suoi contemporanei sarebbe stato a suo agio ai tempi del cinema muto. Non perché sia bravo a raccontare per immagini (lo è), ma soprattutto per la sua propensione a puntare su emozioni grandi e semplici. È uno dei motivi del fascino tanto di Zack Snyder quanto del suo Zack Snyder’s Justice League, ormai noto come The Snyder cut. Cose buone e cose cattive vanno prese insieme. Lo Snyder cut dura quattro ore contro le due della versione del 2017 di Joss Whedon (che a sua volta aveva sostituito a metà strada Snyder, e ora è caduto in disgrazia). Ma avrebbero tranquillamente potuto essere tre. Il film si perde in una miriade di trame e sottotrame. Quando sembra che la fine sia vicina, si scopre che in realtà mancano ancora due ore. Ma togliendo gli eccessi si perde ciò che rende speciale il film, cioè il suo glorioso e grandioso ipertrofismo. Peter Bradshaw,The Guardian

Sia,
Music
Kate Hudson, Maddie Ziegler, Leslie Odom Jr
Stati Uniti 2021, 107’. A noleggio

Music segna il debutto alla regia della cantautrice Sia. Dal punto di vista musicale la sua reputazione è intatta. Il film invece è una catastrofe, il risultato di una serie di decisioni poco sagge e di un eclatante atto di hybris. Music è il nome della protagonista, una ragazza di 16 anni affetta da una severa forma di autismo. La interpreta Maddie Ziegler, che è neurotipica. Questa scelta ha fatto suonare un campanello d’allarme nella comunità dei disabili. È comprensibile. Ma è anche possibile che un attore normodotato sia in grado d’interpretare una persona disabile con sensibilità e profondità. Non è questo il caso. Il risultato è inguardabile e quasi offensivo. Colpa di una regista che non si è preparata abbastanza. Ma in verità il film è brutto anche per altri motivi. Danny Leigh, Financial Times

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1401 - 19 marzo 2021
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