Lila ha il cuore spezzato. È stata tradita dal suo fidanzato. Dovrebbe andare avanti, invece trascina la sua tetra malinconia per le strade di Belleville, insensibile agli sforzi di chi le sta vicino per ridarle un po’ di voglia di vita. Ci vuole coraggio per dirigersi in un’opera prima come regista che poggia su una partitura così intima. Hasfia Herzi raccoglie la sfida con la naturalezza e l’impudenza che la caratterizzano dal suo debutto in Cous cous di Abdellatif Kechiche. Il suo ritratto di una ragazza in lacrime colpisce principalmente per l’accuratezza della scrittura, molto contemporanea. Senza entusiasmo Lila finirà per conformarsi al suo status di single, fatto di rapporti effimeri e incontri fugaci. Ma nonostante la varietà, desiderio e piacere rimangono assenti. In un momento in cui i rapporti tra donne e uomini sono più che mai rimessi in discussione, Herzi ritrae un personaggio che oscilla sempre ai limiti del consenso. Con qualche eccezione (l’amico gay interpretato da Djanis Bouzyani) i dialoghi sono essenziali. Quanto all’erotismo, la regista si rivela una discepola di Kechiche: anche lei indugia a lungo, amorevolmente, sui corpi dei suoi personaggi. Ma qui la parità fa la differenza. Jérémie Couston, Télérama
Francia 2019, 99’. Mubi
Israele 2020, 85’. Miocinema.it
Una madre e la figlia adolescente non sono completamente lontane l’una dall’altra, ma sono comunque bloccate su due cammini divergenti. Trovano però un terreno comune quando la malattia degenerativa della figlia peggiora e diventa chiaro che la sua vita rischia di finire prima ancora di cominciare davvero. Nel debutto della regista israeliana Ruthy Pribar, rigorosamente poco sentimentalistico, la protagonista è un’incantevole Shira Haas (vista recentemente nella serie Unorthodox). Interpreta Vika, una ragazza che combatte per far coesistere il suo corpo debole e malato con gli impulsi ribelli di un’adolescente normale. Nel ruolo della madre, Asia, Alena Yiv è superba nel creare un personaggio imperfetto, in carne e ossa, intelligente abbastanza da capire che fare la cosa più giusta per sua figlia può metterla contro la società e forse anche contro la legge. __**Wendy Ide, The Observer**
Romania 2020, 128’. Mubi
Nei film spesso il cambiamento procede rapidamente a partire da piccoli e coraggiosi atti di dissenso. Dalle scritte lasciate su un muro magari, come quelle che danno inizio a questa feroce drammatizzazione brechtiana di fatti realmente accaduti a Botosani, in Romania, nel 1981. La frase “Vogliamo giustizia e libertà”, scritta a lettere maiuscole con un gesso celeste non ha scatenato una rivoluzione, non subito almeno. Ma su questo “crimine” ci viene raccontato molto altro. Il film è un adattamento del dramma teatrale di Gianina Carbunariu, che a sua volta ha costruito i dialoghi a partire dai verbali della Securitate, la polizia segreta romena. Non aspettatevi quindi monologhi significativi ed esaltanti. Al loro posto ci sono testimoni nervosi e la gelida attenzione degli agenti. Radu Jude ha scelto di mettere gli attori direttamente davanti alla cinepresa con alle spalle una scenografia minimale. Ma ha un asso stilistico nella manica, costituito dalle immagini di repertorio della tv romena. Mentre a Botosani l’atmosfera diventa sempre più pesante, sullo schermo vediamo spettacoli leggeri e frivoli e l’esaltazione della produzione nazionale di frigoriferi. C’è il circo, sembra suggerire Jude, e poi c’è la realtà. Danny Leigh, Financial Times
Stati Uniti / Canada 2020, 97’. A noleggio
Circa 25 anni fa, la storia di quattro ragazzine bullizzate che invocavano un po’ di magia nera per vendicarsi dei compagni di scuola si guadagnò a sorpresa lo status di film di culto. Era sicuramente imperfetto, ma aveva una cifra gotica-grunge piuttosto spigolosa. Purtroppo il remake del 2020 sembra una bibita annacquata. The craft era un casino, ma aveva un lascito che il film di Zoe Lister-Jones ha completamente dilapidato. Simon Debruge, Variety
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