Cultura Suoni
Who is the sky?
David Byrne (Shervin Lainez)

A metà del nuovo album di David Byrne c’è un momento in cui una marimba tiene il ritmo sopra un bordone in tonalità minore, una tromba sospira come una ventola della metropolitana e lui biascica: “Ho incontrato Budda a una festa in centro. Lui scrollava, io bevevo”. I versi – divertenti ma carichi di solitudine – sono la quintessenza dello stile del musicista statunitense, mentre il resto è diverso dal solito. Non è il funk scarno dei Talking Heads e neanche la teatralità di American utopia. È più vicino a Erik Satie, ma radicato a New York. Stavolta Byrne riesce a fare una cosa rara: scrivere un album leggero e sostanzioso allo stesso tempo; orchestrale senza eccessi e sciocco senza diventare vacuo. Who is the sky? potrebbe essere un libro di inni secolari per la nostra epoca. I dodici brani contengono istantanee di vita quotidiana plasmate da incontri fugaci. Musicalmente è ricco, con una varietà di strumenti che danzano in armonia, e questo è uno dei suoi meriti grazie anche alla newyorchese Ghost Train Orchestra: il loro stile da camera dà ai brani un tocco originale e una profondità cinematografica. Un altro punto forte sono le percussioni e il modo in cui interagiscono con le canzoni. Who is the sky? è un gigantesco carnevale ma non è per tutti. Se conoscete l’eccentricità di Byrne vi piacerà, ma se cercate del pop semplice potreste uscirne frustati. Questa è musica per chi ama stupirsi.
Maria Luísa Richter, Northern Transmissions

A danger to ourselves
Lucrecia Dalt (Louie Perea)

Il pop invecchia in fretta. Brani che fino a pochi anni fa sembravano rivoluzionari oggi sono la colonna sonora dei centri commerciali. Sette anni fa il mixtape Pop 2 di Charli XCX veniva celebrato per la sua visione futurista, così come l’estetica dell’etichetta Pc Music o, più di recente, Motomami di Rosalía. Oggi l’attenzione critica si sposta su nuove figure capaci di ridefinire la musica leggera. Tra queste c’è Lucrecia Dalt. Ex ingegnera geotecnica, da vent’anni lavora su suoni sperimentali. Dopo un esordio in sordina, il successo è arrivato con ¡Ay! (2022), che ha aperto la strada all’album attuale, A danger to ourselves: più pop, ma ancora intriso di atmosfere cinematografiche, elettronica e tradizione latinoamericana. Il singolo Cosa rara, scritto e registrato con l’ex leader dei Japan David Sylvian, sembra uscito da un film d’autore, mentre brani come No death no danger e Caes evocano tinte horror. Dalt non insegue il successo a tutti i costi ma ammette di desiderare un ruolo di primo piano nel pop latino. La collaborazione con Sylvian rafforza questa svolta, pur mantenendo la sua cifra visionaria: testi che parlano d’amore, morte e metamorfosi, tra ballate e ritmi ipnotici. Il risultato è un album che oscilla tra sperimentazione e immediatezza, con melodie capaci di far ballare o di farci nascondere sotto il letto.
Igor Bannikov, Clash

Villa-Lobos: opera completa per chitarra solista
Franz Halász: chitarra

Il compositore brasiliano Heitor Villa-Lobos (1887-1959) suonava la chitarra, così non stupisce che gli venissero naturali le melodie e l’esuberanza dei colori nei registri più bassi dello strumento, insieme alla passione per gli idiomi musicali popolari del suo paese e per il rigore classico. È un territorio che esplorava anche nelle forme, con i brani basati sui chôros da una parte, gli studi dall’altra e la Suite populaire brésilienne e i Preludi nel mezzo. Compose molti di questi pezzi per il grande chitarrista spagnolo Andrés Segovia, ma è l’approccio poco ortodosso del compositore alla tecnica dello strumento che rende questi lavori così difficili da imparare, soddisfacenti da suonare e belli da ascoltare. Oggi esistono pochi chitarristi in una posizione migliore del tedesco Franz Halász per dare al linguaggio di Villa-Lobos una sensibilità moderna, che sia tanto rispettosa del testo quanto stravagante. Ed è esattamente quel che ci chiede questa musica.
William Yeoman, Gramophone

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1631 - 12 settembre 2025
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