Con il suo riuscito debutto nel lungometraggio, Bogdan Mureşanu racconta un momento cruciale della storia romena – la caduta del regime di Nicolae Ceaușescu – attraverso gli occhi e le storie intrecciate di sei persone comuni. È un’opera solida e divertente che si sviluppa verso una conclusione di una potenza bruciante. Il film nasce dal cortometraggio di Mureșanu del 2018, The Christmas gift, in cui un padre scopre che nella lettera a Babbo Natale il figlio chiede “la morte dello zio Nic” (un soprannome poco affettuoso per Ceaușescu) per far felice proprio suo padre. Questa storia è uno dei filoni narrativi di L’anno nuovo che non arriva. L’inizio può sembrare un po’ lento, ma il film prende gradualmente slancio. E una trascinante sequenza finale di venti minuti fonde filmati d’archivio e azione riuscendo a catturare l’impatto esaltante della storia in divenire.
Wendy Ide, Screen International
Romania / Serbia 2024, 138’. In sala
Francia 2025, 102’. In sala
Negli anni sessanta Roland nasce con un piede torto. I medici sono categorici: il bambino non camminerà mai. Ma sua madre è convinta del contrario: sfida il destino affidandosi a dio e a un aggiustaossa i cui metodi radicali sono ammorbiditi dall’ascolto attento dei successi di Sylvie Vartan. Fantasia e gravità s’intrecciano in questa commedia ispirata all’autobiografia dell’avvocato e conduttore radiofonico Roland Perez. In un film mediamente sobrio, più toccante che divertente, il pizzico di follia è garantito da Sylvie Vartan che interpreta se stessa e, soprattutto, da Leïla Bekhti che, con grande verve, si trasforma in una madre ebrea sefardita da antologia.
Samuel Douhaire, Télérama
Francia 2024, 99’. In sala
Yvonne (Chévalier), figlia di un immigrato vietnamita, ha sempre sognato una carriera nel musical. Segue il suo sogno con una piccola compagnia teatrale e si guadagna da vivere vendendo una varietà poco invitante di involtini primavera, un lavoro ingrato per il quale, una volta tanto, le sue origini non rappresentano un ostacolo. Poi arriva l’opportunità della vita. Ma per coglierla, avrà bisogno di un vero atto di fede. Il film d’esordio dell’attore e scrittore Stéphane Ly-Cuong è una deliziosa fantasia sul determinismo etnico. Attraverso il ritratto di una donna e del suo senso di colpa per aver “tradito” l’eredità culinaria della madre, il regista, con una deliziosa esplosione di umorismo queer, affronta la segregazione delle comunità razzializzate.
Xavier Leherpeur, Le Nouvel Obs
Spagna 2024, 110’. In sala
Manolo (l’eccezionale Eduard Fernández), come tanti altri immigrati provenienti dall’Estremadura e dall’Andalusia, ha comprato un piccolo appezzamento di terra a Torre Baró, nella periferia di Barcellona, per costruirci una casa. Ma l’amministrazione catalana si rifiuta di considerare quel quartiere come una parte della città. Il film di Barrena, a tratti realistico, a tratti un po’ melodrammatico, racconta la storia di dissenso pacifico e del movimento che nel 1978 trasformò Barcellona. Secondo le autorità gli autobus non potevano percorrere le strade scoscese che portavano a quel quartiere fantasma, finché un eroe anonimo dimostrò che si sbagliavano.
Carmen L. Lobo, La Razón
Stati Uniti 2025, 112’. In sala
Joan (Olsen), appena morta, arriva nella Junction, una stazione di passaggio dove si deve decidere come e con chi vivere nell’aldilà. Lì infatti la aspettano i suoi due mariti (entrambi noiosi). Con una regia vivace e alcuni spunti comici, Eternity solleva alcuni interrogativi interessanti per poi ignorarli a favore di una semplice storia su un triangolo amoroso. Si poggia su stilemi da soap opera pura e si capisce da lontano come andrà a finire.
Jeannette Catsoulis, The New York Times
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