Le cose durano sempre meno perché sono prodotte con una data di scadenza. Sono fatte apposta per rompersi facilmente, perché aggiustarle sia più difficile che comprarne di nuove e affinché il consumo non si fermi mai: la famosa obsolescenza programmata. Comprare qualcosa, usarla fino a quando non si rompe, gettarla via e poi comprare di nuovo qualcos’altro e buttarlo in un ciclo infinito che danneggia l’ambiente.

Per fortuna ci sono delle iniziative che cercano di spezzare questo circolo vizioso, proponendone uno alternativo. È il caso del Club dei riparatori, che incoraggia a riparare gli oggetti come attività sostenibile e strategica per un consumo responsabile.

Le foto sono tratte dall’account Instagram del Club dei riparatori in Argentina (www.instagram.com/clubdereparadores)

Nel novembre del 2015 Marina Pla e Melina Scioli, che lavoravano a Buenos Aires con l’ong Artículo 41 per promuovere il recupero dell’usato, hanno deciso di organizzare degli eventi comunitari. L’obiettivo era far incontrare persone di tutte le età e le professioni per fargli scambiare conoscenze, tempo e strumenti che le aiutassero a riparare gli oggetti rotti. Pla e Scioli si sono ispirate a iniziative simili già attive nel resto del mondo, come i repair café di Amsterdam (posti che spesso si trovano in spazi pubblici come campus universitari o biblioteche, in cui le persone possono lavorare o aiutarsi a riparare oggetti che non funzionano) o i restart parties nel Regno Unito, eventi in cui gli utenti si aiutano a vicenda ad aggiustare apparecchi elettronici guasti o che funzionano male. Le due argentine hanno messo in contatto le persone che avevano oggetti rotti o a cui mancava qualcosa (vestiti, elettrodomestici, giocattoli) con altre in grado di ripararli, disposte a insegnare come farlo o ad aggiustarli gratuitamente. Così è nato il Club dei riparatori. “Il primo incontro è stato un vero e proprio esperimento”, racconta Scioli. “Ci avevano chiesto di organizzare un evento per un progetto dello studio di architettura A77. Si teneva nel parco Lezama, nel quartiere di San Telmo a Buenos Aires. Abbiamo portato una cassa piena di attrezzi e un cestino da cucito. Abbiamo chiamato alcuni volontari che sapevano riparare apparecchi elettronici e altri oggetti, o avevano qualcosa da aggiustare. Poi abbiamo aspettato per vedere cosa sarebbe successo. Il risultato ci ha lasciate a bocca aperta: le persone partecipavano e riparavano davvero le cose”, dice.

In poco tempo il club si è trasformato in un movimento. “Abbiamo messo su una grande squadra con Marina Pla, Julieta Morosoli e Camila Naveira, oltre alle persone che collaborano all’organizzazione degli eventi”, spiega Scioli.

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Gli incontri sono stati definiti open source (a codice aperto, come i software che tutti possono usare, modificare e migliorare): altri gruppi possono organizzare iniziative simili a quelle del club seguendo la sua linea, accogliendo i suoi consigli e facendo tesoro delle sue esperienze. Grazie a questa possibilità, ci sono stati incontri in altre province argentine – Río Negro e Córdoba – e in paesi latinoamericani come l’Uruguay e il Messico. Da allora il club non ha smesso di crescere e di ottenere risultati positivi. Ci sono già state decine di edizioni e sono stati aggiustati più di quattromila oggetti, con un tasso di riparazioni del 65 per cento: non tutto purtroppo può essere sistemato. Oggi la comunità è formata da cinquecento riparatori e da più di cinquemila volontari. Il club è stato premiato dalla Shuttleworth foundation e dalla fondazione ambiente e risorse naturali dell’Argentina per le soluzioni che ha offerto, e ha ottenuto un riconoscimento dalla camera di commercio argentino-britannica per il suo ruolo nel campo della sostenibilità. Il consiglio comunale di Buenos Aires l’ha definito un’iniziativa d’interesse.

Collaborazione

“Presentarsi nello spazio pubblico con tavoli e attrezzi per scambiare conoscenze tra sconosciuti è di per sé un gesto molto forte. In un certo senso questa esperienza ci ha aiutato ad associare in modo creativo la riparazione degli oggetti con le conseguenze sull’ambiente, sulla cultura e sull’economia”, dice Scioli, ripensando ai primi eventi. La modalità è sempre la stessa: ci sono tavoli, attrezzi, persone che sanno cucire, lavorare il legno o che aggiustano apparecchi elettronici. Tutti trovano qualcuno che possa aiutarli a riparare oggetti rotti. Ci sono anche cicli d’incontri e sezioni speciali come “il Tinder dei tupperware”, per i contenitori che cercano il loro tappo e i tappi in cerca del loro contenitore.

Sono iniziative che rafforzano l’aspetto comunitario degli incontri. Secondo Virginia Martínez, una delle promotrici del club a Córdoba, è per questo che gli eventi funzionano e si ripetono. “L’energia che si crea è indescrivibile”, dice. “Non solo si aggiustano cose, ma nascono anche dei legami tra le persone. È un’occasione per condividere gratuitamente tempo e strumenti. Una persona partecipa a un evento perché ha una radio rotta e un’altra le insegna a ripararla per il piacere di farlo, o almeno ci prova. S’impara, s’insegna, ci si sente coinvolti. La relazione che nasce tra i partecipanti è il motore che spinge a organizzare altri eventi, perché chi ha partecipato una volta torna e porta con sé qualcun altro”, aggiunge Martínez. La chiave del successo è la collaborazione collettiva.

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A Córdoba il club è nato nel 2016, grazie a un gruppo dell’Universidad libre del ambiente. Il primo incontro è stato sperimentale, c’erano più curiosi e riparatori che oggetti rotti. Al secondo ha partecipato anche Patio mundo, un negozio-laboratorio della città che promuove uno stile di vita sostenibile. Poi si sono aggiunte altre organizzazioni, volontari e volontarie e sono arrivati più oggetti da riparare. Finora nella città si sono svolti otto incontri, sempre più grandi ed efficienti.

Tra gli obiettivi del club c’è la diffusione di una cultura capace di prendersi cura delle cose e delle persone, con un’attenzione speciale per la sostenibilità. Un altro scopo è aiutare i lavoratori: prima di ogni evento gli organizzatori contattano i riparatori del quartiere, invitandoli a partecipare per promuovere le competenze di tutti gli artigiani locali e dei negozi che vendono attrezzi e strumenti utili per le riparazioni. Inoltre, si cerca sempre di scegliere sedi diverse per gli eventi. Il club vuole anche ridurre la quantità di rifiuti che si producono attraverso la diffusione di un’economia circolare: l’obiettivo è passare da un’economia che si basi su produzione, estrazione, consumo e scarto, a una in cui i rifiuti prodotti in un ciclo siano valorizzati in quello successivo. Riparare viene prima di ridurre, riciclare e riusare.

Cambiare abitudini

Secondo il rapporto What a waste 2.0 della Banca mondiale, nel mondo ogni anno si producono più di due miliardi di tonnellate di rifiuti. “Se non si prendono subito le giuste contromisure, la rapida urbanizzazione, la crescita della popolazione e lo sviluppo economico faranno aumentare la quantità di rifiuti del 70 per cento nei prossimi trent’anni a livello mondiale”, si legge nel documento. Secondo il ministero argentino dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile, nel paese sudamericano ogni abitante produce 1,15 chili di rifiuti solidi urbani al giorno: in totale una tonnellata ogni due secondi. Gran parte delle cose che gettiamo finisce in discariche, laghi, fiumi, oceani, inquinando e aggravando la crisi climatica.

Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) ha lanciato l’allarme: è necessario fermare la distruzione degli ecosistemi e le emissioni di gas a effetto serra. Sulla base dei risultati del suo rapporto, quest’anno l’Onu ha dichiarato che “gli effetti del cambiamento climatico sono irreversibili” e “la responsabilità è dell’attività umana”.

La quantità di rifiuti prodotta dagli abitanti di un paese o di una regione riflette le condizioni di produzione e di consumo della società. Cambiare le abitudini di consumo non è un suggerimento, ma una necessità urgente.

C’è una sezione speciale per i contenitori che cercano il loro tappo

“È difficile diventare consapevoli del fatto che le cose sono costituite da minerali e materiali estratti dalla crosta terrestre, che molti non sono infiniti, che i processi di estrazione hanno conseguenze enormi sugli ecosistemi e le comunità, e che ogni oggetto comporta un dispendio di energia e un’emissione di gas a effetto serra”, dice Scioli. Poi ricorda la differenza tra un oggetto che dura due anni e un altro che arriva a dieci: “L’impatto ambientale è molto diverso”.

Il Club dei riparatori cerca di allungare la vita degli oggetti, evitando che diventino rifiuti e combattendo la cultura dello scarto. “Riparare è una scelta politica, un meccanismo di lotta contro l’obsolescenza programmata e le abitudini di consumo del capitalismo che incidono negativamente sull’ambiente, sulla società e sull’economia. Il club combatte questi fenomeni”, dice Magdalena Gavier, una volontaria del club di Córdoba. “Perché non fabbricano cose che possano durare di più? Non abbiamo forse la tecnologia per farlo? A chi conviene? Quante cose ci arrivano ogni settimana, quante ne buttiamo? Quante si sarebbero potute riparare? Siamo consapevoli di tutto questo?”.

Fai da te

Un giorno Gavier, che non sa riparare nulla, ha partecipato a un evento del club per semplice curiosità ed è entrata a farne parte. “Per me era impensabile che persone che di mestiere riparano oggetti si ritrovassero a insegnare gratuitamente come farlo. E invece succede”, dice. Partecipare al club ha risvegliato qualcosa in lei, “una reazione sociale allo stile di vita e al modo di agire di oggi”, una maggiore coscienza ambientale che ora cerca di trasmettere. “Non possiamo continuare a vivere in un mondo in cui compriamo, buttiamo e generiamo più rifiuti di quanti il pianeta sia in grado di sopportare”, aggiunge.

Da sapere
Sommersi dai rifiuti
Quantità di rifiuti prodotti nel mondo, milioni di tonnellate all’anno, dati aggiornati al 2016 (Fonte: Banca mondiale, What a waste 2.0)

Il movimento per il “diritto alla riparazione” cresce con forza nel mondo e, tra le altre cose, chiede che le grandi aziende tecnologiche mettano a disposizione le parti di ricambio e i manuali necessari per la riparazione fai da te dei loro prodotti. Un esempio: di recente la Apple ha annunciato che comincerà a vendere i ricambi, gli strumenti e le istruzioni perché chi ha un iPhone possa ripararlo da sé.

“L’architetto statunitense Richard Buckminster Fuller diceva che le cose non si cambiano mai lottando contro la realtà esistente, ma che bisogna costruire un nuovo modello per rendere obsoleto quello attuale”, sostiene Scioli. Come le attiviste di Córdoba, anche lei è ottimista: “Crediamo nella forza del gruppo, nella possibilità di far crescere questa iniziativa nel paese e nella regione. Rivendichiamo il diritto di avere prodotti duraturi, pezzi di ricambio, accesso ai manuali e strumenti per ripararli”.

Il club vuole rendere le riparazioni qualcosa di desiderabile e possibile. ◆fr

QUESTO ARTICOLO
È stato pubblicato sulla piattaforma Soluciones para América Latina, un progetto nato dalla collaborazione tra i siti Red/Acción e Infobae. Daniela Carrizo è una giornalista freelance argentina.

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Questo articolo è uscito sul numero 1447 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati