Il cambiamento climatico comincia ad alterare la nostra misurazione del tempo. Secondo uno studio pubblicato su Nature lo scioglimento delle calotte glaciali rallenterà la rotazione terrestre al punto da rinviare di tre anni il prossimo secondo intercalare, il sistema usato dal 1972 per allineare l’ora ufficiale degli orologi atomici a quella basata sulla rotazione del pianeta.

Secondo l’analisi di Duncan Agnew, geofisico della Scripps institution of oceanography di La Jolla, in California, il riscaldamento globale rinvierà dal 2026 al 2029 l’esigenza di ricorrere al secondo intercalare. Questo strumento causa grossi problemi informatici, tanto che gli scienziati hanno deciso di eliminarlo, ma non prima del 2035. Il prossimo aggiustamento è particolarmente temuto dai ricercatori, perché è probabile che per la prima volta sarà necessario sottrarre un secondo invece di aggiungerlo. “Non sappiamo come comportarci”, spiega Felicitas Arias, ex direttrice del reparto Tempo dell’Ufficio internazionale dei pesi e delle misure di Sèvres, Francia. In termini metrologici il ritardo “è positivo”, aggiunge Arias, perché prima del 2035 potrebbero essere necessari meno secondi intercalari del previsto. Secondo Agnew, però, questo non dev’essere certo considerato un punto a favore del riscaldamento globale. “ Le conseguenze negative sono enormemente più grandi”.

Per millenni il tempo è stato misurato con la rotazione terrestre, e il secondo era definito come una frazione di quello necessario al nostro pianeta per compiere un giro su se stesso. Ma dal 1967 si usano gli orologi atomici, che si basano sulla frequenza della luce emessa dagli atomi. Oggi il tempo ufficiale della Terra, o tempo coordinato universale (Utc), è misurato da circa 450 orologi atomici, e ogni tanto viene inserito un secondo intercalare per mantenerlo in linea con la durata di un giorno naturale. Gli orologi atomici sono più precisi perché restano stabili per milioni di anni, mentre la velocità di rotazione terrestre varia. Agnew ha usato dei modelli matematici per analizzare le conseguenze di fenomeni geofisici noti sulla rotazione, e ha potuto prevedere quelle sui futuri secondi intercalari.

Da milioni di anni la velocità di rotazione sta calando, quindi di tanto in tanto un minuto dell’Utc deve durare 61 secondi per consentire alla Terra di recuperare. Il rallentamento è causato dalla forza di attrazione esercitata dalla Luna sui mari, che crea attrito, e spiega sia perché le eclissi di duemila anni fa sono state registrate a orari diversi da quelli che ci saremmo aspettati basandoci sulla velocità di rotazione odierna sia perché gli studi dei sedimenti indicano che 1,4 miliardi di anni fa un giorno durava 19 ore.

Nell’arco di periodi più brevi, invece, i fenomeni geofisici fanno fluttuare la velocità di rotazione, spiega Agnew. Al momento è influenzata dalle correnti nel nucleo terrestre liquido, che dagli anni settanta stanno accelerando la rotazione della crosta esterna. Per cui il secondo intercalare è servito con minore frequenza, e se la tendenza proseguirà sarà completamente eliminato dall’Utc.

Un pianeta più piatto

Lo studio di Agnew suggerisce che questo potrebbe succedere più tardi del previsto. I dati satellitari sulla gravità terrestre dimostrano che dai primi anni novanta il pianeta sta diventando meno sferico e più piatto per via dello scioglimento dei ghiacciai in Groenlandia e in Antartide, che ha spostato enormi masse d’acqua dai poli verso l’equatore. Come un pattinatore rallenta quando allontana le braccia dal corpo e accelera quando le avvicina, così l’acqua che si allontana dall’asse terrestre rallenta la rotazione del pianeta.

Il risultato delle correnti del nucleo e del cambiamento climatico è comunque un’accelerazione della rotazione, ma Agnew ha scoperto che senza l’effetto dello scioglimento dei ghiacci bisognerebbe togliere il secondo intercalare tre anni prima del previsto.

Agnew spera che la sua scoperta sia un incentivo ad agire contro il cambiamento climatico. “Ero già preoccupato, ma ora abbiamo un’ulteriore conferma della gravità della situazione”, conclude. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1557 di Internazionale, a pagina 112. Compra questo numero | Abbonati