Se ci fosse un concorso per il tragitto da casa al lavoro più bello del mondo, quello che fa Fabiano Monti avrebbe buone probabilità di vincere. Ogni mattina esce dalla sua casa di legno in cima alla montagna, infila gli sci e scende sulle piste circondate da boschi di larici fino a Livigno, un comune in Lombardia a 1.800 metri d’altitudine.

Davanti a un edificio in pietra, legno e vetro, Monti si toglie gli sci e li porta in ufficio, dove li lascia in un angolo che ne ospita già una ventina. Sono dei suoi colleghi: matematici, programmatori informatici e guide alpine. Tutti pazzi per lo sci, come lui, soprannominato l’uomo che sussurrava alla neve. Nel 2013 ha concluso un dottorato all’istituto per lo studio della neve e delle valanghe a Davos, in Svizzera, e ha cominciato a pubblicare bollettini sulle valanghe a Livigno, dando vita al Freeride project, uno dei più completi servizi d’informazione sulle valanghe nelle Alpi.

Da ragazzo faceva gare di snowboard. All’epoca a Livigno era vietato andare fuori pista, mentre ora, nonostante l’alto rischio di valanghe, il comune fa di tutto per attirare chi va sulla neve fresca. “Di solito qui nelle alpi centrali non nevica molto”, spiega Monti, “ma il rischio valanghe è maggiore perché il manto nevoso si compatta poco ed è più facile che si smuova. Lo dimostrano anche gli incidenti della stagione in corso”.

Negli ultimi dieci anni in questa zona le valanghe hanno ucciso quattro persone. “Il numero delle vittime non scenderà mai a zero, ma spero di riuscire almeno a impedire gli incidenti evitabili”, spiega Monti. Ed è per questo che ogni mattina alle nove lui e i suoi colleghi si ritrovano nella sede accanto all’ufficio turistico per rispondere, a spese del comune, alle domande di chi pratica gli sport invernali. Con l’aiuto di mappe e fotografie spiegano dove si può ancora trovare della neve fresca affidabile e dove invece il rischio è alto. “Sono informazioni che cambiano costantemente”, spiega Monti.

Ogni giorno almeno una decina di persone viene a chiedere informazioni. “Prima di approfondire dobbiamo capire quanto ne sanno sull’argomento. Non possiamo chiedere solo se hanno esperienza”. Anche il bollettino valanghe che Monti e la sua squadra pubblicano ogni sera è piuttosto fuori dal comune: di solito si danno informazioni generiche che coprono un’intera regione alpina, mentre loro si dedicano esclusivamente alla zona di Livigno. “Siamo in grado di dire esattamente quali sono le zone pericolose in quel momento”, spiega Monti.

Se non si ha esperienza, interpretare male il bollettino è facile: quando leggono livello tre, racconta Monti, alcuni credono che il rischio sia medio, una situazione relativamente sicura. “Ma è sufficiente una valanga di livello 1 per trascinare uno sciatore verso valle. Una di livello 2 può seppellirlo completamente e una di livello 5 può distruggere un intero villaggio”.

Nell’ufficio un plastico raffigura le montagne di Livigno. C’è anche il logo del programma italiano di ricerca in Antartide per il quale Monti ha lavorato. Sul computer apre e chiude mappe colorate, grafici a barre e diagrammi cartesiani.

Servono a rappresentare la struttura del manto nevoso in inverno, i cambiamenti che avvengono di ora in ora e le variabili come l’esposizione al sole, la forza del vento e la temperatura. Monti usa i dati di quindici stazioni meteorologiche, ma riceve anche le foto dalle guide alpine, che nelle riunioni del mattino raccontano le condizioni trovate in montagna.

Con tutti questi dati, l’Alpsolut, l’azienda di Monti, elabora simulazioni anche per varie regioni italiane e località sciistiche in Tirolo, Andorra e Catalogna. In programma c’è anche una versione semplificata per i turisti, da scaricare sul telefono. “Ma la cosa più importante è l’interpretazione, che non è facile. E per quanto le simulazioni possano aiutare, andare sul campo è diverso”, spiega Monti. E quindi di buon mattino, lasciandoci alle spalle i tanti negozi di gioielli, vestiti e profumi di questa specie di duty-free di montagna, ci incamminiamo verso la cabinovia Carosello 3000. Nella stazione a valle, il livello di allarme valanghe è annunciato su un avviso luminoso. Un cappuccino al volo e si parte, con vista sulle montagne un tempo attraversate dai contrabbandieri che portavano in Svizzera sigarette, liquori e caffè.

Cristalli grandi e piccoli

I cartelli della stazione a monte danno indicazioni sulle condizioni del terreno fuori pista. C’è anche una stazione per provare gli apparecchi usati per le ricerche in caso di valanga. Oppure punti informativi dove cominciano i percorsi per le escursioni con sci e ciaspole. “Sono interessanti anche per chi è esperto”, dice Monti. Anche la risalita si fa fuori pista, ma se si vuole si può tornare in breve tempo su una di quelle battute.

Dopo qualche curva Monti fa un salto e scende sul terreno scosceso e ghiacciato, poi si ferma su una pendenza di 35 gradi, sgancia gli sci e comincia a scavare con una pala.

Una volta in Antartide ha scavato da solo un fosso lungo venti metri e profondo due, racconta. In confronto quello che sta scavando ora per fare il profilo stratigrafico di questa neve è niente. Solo un metro di profondità. Con l’indice gratta dall’alto in basso la parete di neve liscissima. “La neve ha gli strati, proprio come il tiramisù”, dice. Poi mi spiega che quelli morbidi s’individuano premendo leggermente il pugno sulla neve e vedendo se affonda.

Il problema è la vicinanza di strati morbidi e duri, o di cristalli grandi e piccoli. “Più i grani sono piccoli meglio è”, spiega Monti. Sui grani e i cristalli più grandi un lastrone di neve compressa dal vento scivola come su dei cuscinetti a sfera. “Il profilo stratigrafico dice qualcosa, ma non tutto. Non ci si deve fare affidamento”, osserva Monti,“bisogna raccogliere più informazioni possibili, come se fossero le tessere di un puzzle. Prima di tutto ci si guarda intorno cercando qualcosa che possa segnalare il rischio di valanghe, stando attenti a crepe e rumori”. Più il suo racconto va avanti e più siamo intimoriti, anche perché diverse volte è stato travolto da una valanga. “Ma non mi ha mai seppellito completamente”.

Consultare le applicazioni

Alla stazione a valle dello skilift ci si può esercitare su cosa fare in caso di emergenza: sotto la neve sono stati messi cinque localizzatori che la guida alpina Emanuele Tizzoni attiva dalla sua valigetta.

Ci spiega ancora una volta il funzionamento degli apparecchi di ricerca in caso di valanga e come ci si comporta durante le ricerche e il recupero delle persone. Viene spesso qui con i suoi clienti, che abbiano prenotato un’escursione per principianti oppure in elisci. L’ elicottero è stato comprato nel 2014 per recuperare le vittime delle valanghe. Sono gli elisciatori a finanziare quest’attività in cambio dell’accesso esclusivo a un’area fuori pista di cento chilometri quadrati.

Oggi gli sciatori sono molto più in­formati sulle valanghe di quanto non lo fossero dieci anni fa, dice Monti. E sono utili anche le app, Skitourenguru o White Risk per esempio. “Ma c’è anche chi esce in condizioni meteo pessime. Li chiamiamo highlander, perché si sentono immortali”. ◆sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1498 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati