Dopo Oceano nero, arriva il secondo Corto Maltese trasposto nel mondo di oggi ed è sempre notevole e sempre più nero. I due francesi anche qui danno spazio alla meta-narrazione: d’avventura, di guerra-reportage e di cinema (Terminator). Se a tratti azione e sparatorie sono avvolte in una notte nera come l’inchiostro, anche il grigio, grazie all’uso dei retini, si fa più nero e si mangia il bianco. Perché tutto si è fatto oscuro, avvolto dal presagio che qualcosa di totalmente disorientante sta per succedere, simboleggiato dal finale. È il sentimento che pervade tutti, in questo momento. In una vicenda imperniata su traffici d’armi con mercenari della guerra nell’ex Jugoslavia e su vacue e orribili giornaliste diventate torturatrici di musulmani per l’esercito statunitense, Corto s’innamora di Semira, abbreviativo di Semiramide, regina di Babilonia. Ragazza risoluta, bosniaca, musulmana e modernissima, che compie efferati omicidi. Malgrado il suo desiderio di vendetta lo sguardo di Corto la renderà regina. Storia d’icone inanimate che diventano animate e viceversa, il segno di Vivès crea squarci di onirismo positivo e luminoso nella realtà, degni di un Pratt ma anche di Vittorio Giardino (La porta d’Oriente). Come all’inizio, con l’apparizione a Venezia dell’attivista di Oceano nero. Apparizione simbolica di un altro mondo possibile, anche se sempre più utopico. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1536 di Internazionale, a pagina 93. Compra questo numero | Abbonati