Mettere in crisi l’antropocentrismo, il sistema cognitivo avvolgente che non ci permette di vedere al di là dei bias, dei pregiudizi, legati all’appartenenza alla nostra specie, non significa solo aprirsi alle vite animali o vegetali. Richiede di riconsiderare tutte le epistemologie che fin dalla nascita dell’antropocentrismo, e poi con la sua esaltazione più grande e pervasiva, cioè il capitalismo, abbiamo pian piano eliminato dalla scena. A volte, in filosofia, per capire a fondo una teoria si può tentare con il gioco. I tarocchi sono un perfetto sistema di riconcettualizzazione non antropocentrica del mondo: con il loro sistema di arcani maggiori e minori, figure mitiche e animalesche, trasmettono soprattutto l’idea che il nostro destino sia connesso alle forze della natura, dell’universo, del caso. E che dunque il controllo totale sul reale, perno decisivo dell’antropocentrismo, sia un dogma ingiustificabile proprio come credere nel volere degli astri. Hegel chiamava “forma generale della presupposizione” tutto ciò che concerne gli atti di fede ma, come ha mostrato l’epistemologia moderna, ogni conoscenza, anche la più scientifica, è vera solo dentro un contesto di riferimento e non può mai giustificare i suoi stessi presupposti. Non che si debba sostituire la psicoanalisi con i tarocchi, tanto per dirne una, ma ogni tanto credere anche ai simboli aiuta il percorso di liberazione dall’antropocentrismo: pensare che il nostro destino dipenda da un animale lontano e perso nel tempo, personalmente mi rilassa. Comunque vada, la vita non è niente più che un gioco con il destino. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1536 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati