Il René del titolo all’inizio è un bimbo un po’ da Alice nel paese delle meraviglie, con il suo mondo alla rovescia, surrealista e dalla logica sottosopra. L’esordiente francese Elene Usdin, dopo un viaggio in Canada, decide di trasporre in “un grande affresco visionario” e onirico la vicenda storica, violenta, “dell’assimilazione forzata dei bambini aborigeni canadesi rapiti alle loro famiglie per essere convertiti al cattolicesimo”, già raccontata da Joe Sacco in Tributo alla terra, capolavoro al contempo di graphic novel e di graphic journalism. Ma Usdin, come se fosse precipitata al pari di René nel mondo-sogno mitologico degli aborigeni canadesi, crea, con echi da Miyazaki, una vera e propria epopea surrealista e panteista di iniziazione non soltanto alla vita ma anche alla morte, qui interscambiabili. È un rovescio continuo di tutto quel che pare acquisito: così René è anche Renée, è bambino/bambina, donna e uomo, uomo forte e uomo comune con nome di donna, animale o pianta, spirito e materia, ma sempre aborigeno, in senso interiore e culturale. Nel suo viaggio dapprima allo specchio, poi dai mille specchi, alla ricerca del coniglio di peluche scomparso, Usdin fa di René·e una potente allegoria del trauma, sia infantile sia delle minoranze, e soprattutto rende evidente che l’essenza del mondo aborigeno è transgender. Indefinita per natura. E sempre mutevole, come la natura. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1566 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati