Negli anni novanta la globalizzazione non si è creata da sola: dietro c’era la volontà delle maggiori economie mondiali di scrivere, far applicare e rispettare regole condivise. Quel consenso oggi vacilla. L’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), che è la materializzazione di quell’ordine fondato sulle regole, è sempre più ai margini ora che i paesi vogliono di nuovo introdurre controlli alle esportazioni, sussidi e dazi doganali per promuovere l’industria nazionale o danneggiare gli avversari. Molti puntano il dito contro gli Stati Uniti, dal momento che prima Donald Trump e poi Joe Biden hanno respinto l’autorità della Wto e ripristinato finanziamenti e dazi che hanno infastidito i partner commerciali. In realtà, la credibilità dell’organizzazione aveva cominciato a indebolirsi molto tempo prima, con l’ascesa della Cina: la sua economia statalista e autoritaria si è dimostrata incompatibile con il sistema commerciale costruito nel secondo dopoguerra dalle democrazie fondate sul mercato.

Biden è arrivato alla Casa Bianca come campione dell’ordine internazionale, ma sul commercio ha proseguito gran parte delle politiche apertamente nazionaliste di Trump. Ha mantenuto i dazi imposti alla Cina dal suo predecessore e ha bloccato le nomine dell’organo d’appello della Wto, che ha l’ultima parola sulle controversie, impedendogli di fatto di funzionare.

A dicembre, con due decisioni separate, i comitati della Wto hanno stabilito che Trump ha violato gli obblighi nei confronti dell’organizzazione imponendo dei dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio e chiedendo che i prodotti realizzati a Hong Kong fossero etichettati come “made in China”. La Wto autorizza un paese a introdurre barriere commerciali solo se servono a difendere la sicurezza nazionale, ma non è questo il caso degli Stati Uniti, ha affermato il comitato. Un portavoce della rappresentante per il commercio degli Stati Uniti Katherine Tai ha risposto che la Wto non ha l’autorità per giudicare le misure degli Stati Uniti. E ha aggiunto che la Casa Bianca insiste da più di settant’anni sul fatto che spetta a Washington decidere cosa fa parte della sicurezza nazionale, non alla Wto.

Tacito accordo

Questo scontro è un esempio delle tensioni che stanno indebolendo il sistema del commercio mondiale. Sotto la Wto e il suo precursore, l’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (Gatt), i paesi erano tacitamente d’accordo a non tirare in ballo la sicurezza nazionale, dice William Reinsch, del Center for strategic and international studies. Quell’accordo non detto non esiste più. Se altri seguiranno il precedente creato dagli Stati Uniti, “l’intero sistema diventerà inutile”.

Anche l’Unione europea ha dichiarato che gli Stati Uniti hanno violato le regole della Wto con il recente Inflation reduction act, che prevede incentivi solo per i veicoli elettrici assemblati in Nordamerica. Pechino ha aperto una causa sui limiti imposti dagli Stati Uniti alle esportazioni verso la Cina dei processori e delle tecnologie che servono per produrli. Ma le lamentele per il comportamento statunitense riflettono nel migliore dei casi solo una parte dei problemi del sistema. Un quadro più completo dovrebbe includere anche i motivi per cui gli statunitensi sono diventati così indisciplinati. In origine Washington aveva spinto per un meccanismo vincolante di risoluzione delle controversie interno alla Wto, proprio perché con il precedente sistema l’applicazione delle decisioni poteva essere facilmente bloccata da ogni singolo paese.

La conseguenza involontaria, però, è stata che i paesi insoddisfatti delle leggi commerciali statunitensi, invece di negoziare, citano in giudizio Washington presso la Wto e spesso vincono perché i giudici dell’organizzazione hanno un’ampia considerazione della loro autorità di interpretare e – sostengono gli avversari – di riscrivere le leggi commerciali.

Altrettanto frustrante è stata l’incapacità della Wto di disciplinare le pratiche protezionistiche e discriminatorie della Cina. Nelle democrazie occidentali, per esempio, lo stato tratta con le aziende a condizioni di mercato, i sussidi sono trasparenti e basati sulle regole. In Cina la distinzione tra lo stato e il settore privato è molto sfumata. I sussidi sono diffusi e opachi, quindi difficili da controllare. Per esempio, per anni solo i veicoli elettrici dotati di batterie prodotte da aziende cinesi hanno avuto diritto a sovvenzioni dal governo cinese. Ma, come osserva Brad Setser, del Council on foreign relations, poiché questo comportamento discriminatorio non era codificato è stato difficile dimostrare la violazione delle leggi sul commercio. Il risultato è che oggi la Wto non è in grado di disciplinare i due stati più importanti dell’organizzazione, lasciando un mondo in via di deglobalizzazione senza un poliziotto sul mercato.

Dove stiamo andando

Tutto ciò non significa un ritorno agli anni trenta, quando i paesi aumentarono drasticamente le tariffe doganali e si chiusero nell’autarchia. La Wto esiste ancora e la maggior parte dei paesi rispetta gli impegni. Ma invece di avere un unico pacchetto di regole imposte a sistemi fondamentalmente incompatibili come quello cinese e statunitense, il mondo andrà verso una serie di accordi regionali. I paesi potranno così scegliere settori e partner che si sentono allineati per valori e interessi, com’è successo per l’accordo di libero scambio digitale tra Singapore e l’Australia. Inoltre, il futuro somiglierà all’epoca precedente alla Wto per il fatto che molte controversie saranno risolte attraverso i negoziati invece che con i processi.

Di sicuro non sarà una partita alla pari. Così come nell’hockey senza arbitri è favorita la squadra che ha i giocatori più imponenti, anche nel commercio senza procedure vincolanti per la risoluzione delle controversie saranno avvantaggiati i paesi con più mezzi per vendicarsi o per resistere alle ritorsioni, cioè gli Stati Uniti, la Cina e l’Unione europea. Ai paesi più piccoli non resterà che accettare le loro offerte.

“Gli Stati Uniti tornano a ‘i vincitori hanno sempre ragione’”, afferma Jennifer Hillman, esperta di commercio della George­town university che ha anche lavorato come relatrice in alcune controversie commerciali per la Wto. “Se sei un grande paese con una grande capacità di ritorsione, sei tu a porti limiti da solo. Se sei un paese piccolo, non credo che il diritto di vendicarti serva a qualcosa”. ◆ nv

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1498 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati