La generazione Z, cioè i nati tra il 1997 e il 2012, vuole fare di meglio: non autocommiserarsi come i millennial, non essere presuntuosa come la generazione X o egocentrica come quella dei boomer. Questo vale non solo per l’atteggiamento nei confronti dell’ambiente e del lavoro, ma anche per la gestione dei risparmi. E l’industria finanziaria gli ha offerto proprio quello che occorre a ragazzi e ragazze che vogliono essere intelligenti e ragionevoli: la formula buy now pay later (bnpl), “compra ora, paga dopo”.
È quello che un tempo si chiamava acquisto a rate. A prima vista, quindi, non è niente di veramente nuovo. Ma ciò che lo rende uno dei prodotti con la crescita più rapida del mercato finanziario è il fatto che circola attraverso le app. Negozi online, organizzatori di concerti e, negli Stati Uniti, anche proprietari di alloggi in affitto e studi medici offrono i loro prodotti con pochi clic, posticipando il momento del pagamento. App come la svedese Klarna, la statunitense Affirm o l’australiana Afterpay anticipano l’importo, che l’utente ripaga a rate. La principale fonte di reddito per queste aziende è la commissione pagata dai venditori per ogni transazione. Ai venditori conviene, perché chi compra ora e paga dopo spende più degli altri: nel 2020 i clienti di Affirm hanno speso in media 365 dollari per ogni acquisto, contro una media per gli acquisti online di cento dollari. Le aziende sfruttano il desiderio di avere tutto a disposizione il prima possibile. La fluidità e la velocità delle transazioni sono decisive. Nei normali acquisti a rate – chi è più anziano può ricordare l’acquisto di un divano – di solito ci sono molte scartoffie da compilare e ostacoli da superare, come la verifica della solvibilità.
L’interesse per il compra ora e paga dopo è esploso durante la pandemia. In California, la patria della Silicon valley sempre alla ricerca di nuove tendenze, più del 90 per cento del credito al consumo generato nel 2020 proveniva da questo settore. Mentre eravamo chiusi in casa, lo shopping online è diventato una sorta di terapia. Con l’allentamento delle restrizioni ci sono state altre occasioni: le persone sono uscite di nuovo e hanno comprato abiti o prenotato finalmente la vacanza dei sogni a lungo posticipata.
Non è un caso che la maggior parte degli utenti di questa formula appartenga alla generazione Z. Secondo un sondaggio di SFGate, il sito del quotidiano San Francisco Chronicle, le persone appartenenti a questa fascia d’età sono addirittura il 73 per cento del bacino totale di utenti. Dopotutto, stanno ancora studiando o sono all’inizio della loro carriera professionale, e di conseguenza la loro disponibilità finanziaria è generalmente limitata.
Fino a poco tempo fa, il loro entusiasmo era condiviso dai grandi investitori. Tra i finanziatori di Klarna, per esempio, c’è il leggendario fondo Sequoia, che vanta nel suo portafoglio successi come la Apple, Google e Airbnb. Tutti hanno creduto nella nuova formula, pagando somme sempre maggiori con la speranza d’incassare un giorno i dividendi di una quotazione in borsa o dell’acquisizione da parte di qualcuno desideroso di mettersi al passo con i tempi.
In questo modo gli investitori hanno portato in breve tempo le valutazioni delle app per i pagamenti dilazionati a livelli vertiginosi. Klarna, per esempio, nel 2019 aveva un valore stimato in circa sei miliardi di dollari, mentre un anno fa superava i 46 miliardi. Ora, invece, la sua valutazione è scesa a 6,5 miliardi di dollari, almeno secondo il Wall Street Journal e il Financial Times. Di recente, inoltre, l’azienda ha annunciato l’intenzione di licenziare il 10 per cento dei suoi dipendenti. Ma non è solo Klarna ad attraversare una crisi. Il prezzo delle azioni della concorrente Affirm, che è già sbarcata in borsa, è sceso dell’80 per cento dall’inizio del 2022. Gli investitori non ci hanno pensato due volte prima di darsi alla fuga.
Molti fattori complicano la vita del nuovo settore. Un tasso d’inflazione come non si vedeva da quarant’anni, per esempio, che tarpa le ali al desiderio di spendere degli utenti. Con il costo del denaro aumentato dalle banche centrali per frenare la crescita dei prezzi, inoltre, per le aziende è diventato più difficile raccogliere i capitali necessari alle loro attività. Poi ci sono la guerra che infuria in Europa e la crisi energetica. Anche i più ottimisti temono una flessione significativa dell’economia, ma è più realistica una recessione imminente. E come se non bastasse, un colosso ha appena fatto il suo ingresso in questo mercato ancora giovane: la Apple ha inserito un’opzione pay later (paga dopo) nella sua app di pagamenti Apple pay. Il gruppo, che attualmente vale duemila miliardi di dollari in borsa ed è anche il secondo produttore di smartphone al mondo, ha decisamente altri mezzi per sostenere il progetto. La Apple vuole rendere Apple pay più popolare e imporsi come fornitore di servizi finanziari.
In ritardo con i pagamenti
Una volta l’amministratore delegato Tim Cook disse che la Apple “fa la cosa più giusta, anche se non sempre è la più facile”. C’è qualche dubbio se il compra ora e paga dopo sia la cosa giusta da fare in questo momento. Secondo un sondaggio del sito web DebtHammer, un terzo degli utenti di queste app ha difficoltà a pagare le rate. Il 32 per cento ha dichiarato che preferirebbe rinunciare all’affitto, all’elettricità o all’abbonamento alle piattaforme d’intrattenimento pur di non essere in ritardo con i pagamenti. Perché in quel caso cominciano i guai. La app Laybuy, per esempio, ha dichiarato che da marzo a settembre 2021 il 43 per cento dei suoi guadagni è stato assicurato dalle penali imposte ai clienti. Secondo un’indagine statunitense, il 42 per cento degli utenti di servizi simili ha preso in prestito il denaro necessario per rimborsare le rate, attraverso una carta di credito, da familiari e amici o con prestiti lampo a tassi d’interesse da usura. A marzo i prestiti al consumo negli Stati Uniti erano cresciuti di 52 miliardi di dollari, un aumento senza precedenti.
Scott Galloway, professore di marketing della New York university, ha paragonato il buy now pay later ai mutui subprime, i prestiti spazzatura all’origine della crisi finanziaria del 2008, e ha messo in guardia sulle conseguenze dell’eccessivo indebitamento dei più giovani, cioè di chi dovrebbe garantire il futuro dell’economia. Intanto, le autorità di vigilanza hanno cominciato a interessarsi al settore. La crisi potrebbe presto soffocarlo, trasformandolo in un ricordo dei giorni del consumo spensierato. ◆ nv
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Questo articolo è uscito sul numero 1468 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati