Quando aveva vent’anni, Fatê Temel ha preso un ago chirurgico, tenendolo tra l’indice e il pollice, e ha immerso la punta dentro una miscela di nerofumo e latte materno. Ha sollevato la punta dell’ago verso il viso. Girandosi verso uno specchio appeso a una parete della sua casa a Derik, un villaggio nella provincia di Mardin, nel sudest della Turchia, ha cominciato a punzecchiarsi la pelle del mento. Era la prima volta che realizzava un deq, il tatuaggio tradizionale un tempo molto diffuso tra i popoli curdi.

Era il 2018. Da allora Temel, che oggi ha 24 anni, ha tatuato centinaia di persone con motivi e simboli deq tipici nel piccolo studio che ha aperto nel novembre 2021 a Sur, un quartiere nella città vecchia di Diyarbakır, considerata uno dei centri della cultura curda. Temel è una delle poche artiste rimaste in Turchia a portare avanti questa antica tradizione.

“Ogni tatuaggio ha un significato”, dice Temel prima di affondare il cucchiaio in un contenitore di latte materno congelato, ricevuto da amiche che hanno partorito da poco. Poi lo raschia e lo mescola frettolosamente in un barattolo di nerofumo, preparando la tradizionale miscela da usare sui suoi clienti. “Questi simboli e motivi riavvicinano noi curdi a un passato dimenticato”, aggiunge. “Il deq per me è uno dei tanti aspetti della nostra cultura che sta scomparendo. Ed è mio dovere fare in modo che questa tradizione sia preservata il più possibile”.

Un tempo il deq era molto diffuso tra i popoli che vivevano in questa regione della Turchia orientale: curdi, turkmeni, arabi e dom (nomadi originari del subcontinente indiano che, attraverso antiche migrazioni, arrivarono in Medio Oriente, Nordafrica, Turchia orientale, Ungheria e Balcani, e spesso chiamati in modo dispregiativo “zingari”). Tatuaggi simili s’incontrano tra le donne amazigh del Nordafrica. E non è difficile trovarne tra gli anziani nei villaggi curdi e arabi della Turchia orientale.

Quando Temel era giovane, per lei era normale che a Derik ci fossero degli anziani tatuati. Ai tempi non ci faceva neanche troppo caso.

Qualche anno fa, però, ha approfondito la questione: “Mi sono chiesta perché alcune persone avevano quei simboli sulla pelle e altre no. E come mai nessuno dei giovani praticasse più quell’arte. Così ho cominciato a passare le mie giornate con alcune donne, imparando a conoscere il significato dei simboli e il modo in cui facevano i tatuaggi deq”, racconta. “All’inizio non volevano parlarne, dicevano che li avevano fatti da giovani e che erano stati un errore. Ma ho insistito, finché non si sono aperte”.

In seguito Temel ha realizzato dei deq sulle mani dei suoi cugini al villaggio. “Ne avrò tatuati venti”, dice ridendo e tirando indietro la testa. La sua famiglia era molto contraria, ma questo non l’ha fermata. “Ho visto che molti ragazzi curdi erano interessati. La maggior parte veniva da me e mi chiedeva di fargli dei deq solo perché gli piacevano i motivi. Ma io, mentre glieli facevo, gli spiegavo il significato dei simboli”, racconta.

Significati importanti

Il primo deq di Temel, realizzato sul mento, è un motivo che si riferisce al sole. Ogni disegno ha un ricco significato, che può cambiare a seconda delle comunità e del luogo. Il suo tatuaggio rappresenta “la ricerca della saggezza”, dice. “L’ho scelto perché quando sono tornata al villaggio ho deciso che avrei cercato costantemente di espandere la mia conoscenza. Me lo sono fatto sul viso, così ogni volta che mi guardo allo specchio mi ricorda il mio percorso”.

Il deq è una “forma di culto”, spiega Ahmet Yavuklu, un antropologo curdo che ha fatto ricerche approfondite e pubblicato un libro sull’argomento. “I deq sono spesso ispirati ad animali, forme e motivi presenti in natura, come il sole, la luna, le stelle e perfino il grano. Hanno tutti dei significati importanti”.

Il deq è molto diverso dai tatuaggi moderni. Se oggi le persone se ne fanno uno per decorare il proprio corpo o per imprimere nella memoria eventi, persone o idee, tradizionalmente i deq erano richieste di abbondanza, protezione, benedizioni o fertilità rivolte a dio. Alcune donne in gravidanza li facevano per evitare problemi durante il parto. Ed erano realizzati perfino sulle tempie delle persone per alleviare l’emicrania.

A volte fa visita agli anziani tatuati nei villaggi orientali, dai quali impara la storia di questa forma d’arte, prima di tornare nel suo studio

“La cultura del tatuaggio è molto più antica di quella della scrittura”, spiega Yavuklu. “I tatuaggi rivelano come l’identità culturale sia legata al senso di sé e al modo in cui gli individui si relazionano con gli altri esseri umani, gli animali e l’ambiente”.

Anche le donne curde si facevano dei deq semplicemente per decorarsi la pelle, ma spesso erano legati ai loro valori spirituali. “Si ritiene che incidendo dei simboli sul corpo s’incida anche l’anima”, spiega Yavuklu.

L’inchiostro tradizionale usato nel deq varia da una comunità all’altra. La miscela può includere erbe, fuliggine di lampade e intestini di animali (di solito cistifellea di pecora), oltre che latte materno. Il latte in genere è quello di una donna che allatta una bambina, poiché secondo gli anziani quello usato per un bambino non produce un colore altrettanto vivace e cicatrizza il tatuaggio più lentamente.

Per questo nel suo studio Temel usa una miscela di nerofumo e latte di madri di figlie femmine.

“I tatuaggi sono una delle più antiche espressioni artistiche dell’umanità”, afferma, sottolineando che da migliaia di anni sono usati come tecnica per comunicare con gli altri. “Il punto non sono solo i simboli o i motivi, ma anche la conoscenza del processo che serve per ottenere l’inchiostro”, continua. “Perché, per esempio, le donne impiegavano certe erbe? O si servivano solo del latte materno usato per nutrire le bambine? Io non voglio fare tatuaggi moderni, voglio dedicarmi al deq come si faceva in passato, in modo che questa cultura possa essere mantenuta in tutta la sua integrità”.

Negli stretti vicoli di Sur il volto tatuato di Temel si fa notare. Mentre la ragazza percorre le stradine, un raro soffio di vento s’intrufola nel caldo secco della città e le alza il vestito da dietro. Temel saltella sul vialetto in acciottolato e passa davanti a un ristorante dal quale arrivano le voci di cantanti curdi e il rumore rilassante delle corde del bağlama, uno strumento tradizionale.

Largo ai giovani

Temel entra nel suo studio e si siede a un tavolo. Fino all’anno scorso questo piccolo spazio era solo un magazzino disordinato. Ma la ragazza ha ottenuto dal proprietario il permesso di fare un po’ di spazio e usarlo come studio. Ha appeso alle pareti foto di donne e uomini curdi anziani con tatuaggi deq sul viso, sulle gambe e sulle mani.

Questa tradizione, un tempo quasi scomparsa, di recente è tornata di moda tra le ragazze e i ragazzi curdi, che la usano per rivendicare la propria identità. Temel riceve almeno due o tre clienti al giorno, la maggior parte dei quali sono appunto ragazzi curdi. Ogni deq costa circa duecento lire turche (circa dieci euro). Non sorprende che il motivo più popolare tra chi va da Temel sia il sole.

Ali Ozmen, 28 anni, è arrivato da Cizre, una città della provincia di Şırnak, a circa 230 chilometri da Sur, proprio per visitare lo studio di Temel. Ha scelto il simbolo del sole perché “è quello più importante per il popolo curdo”, dice. Il deq che si è appena tatuato sul polso è rosso, e luccica a causa della vaselina. Ha chiesto anche un punto sulla mano, per ricordare quello che si è tatuato suo padre.

“Sento che quando mi faccio realizzare questi simboli sul corpo, mi sto fisicamente assicurando che questa tradizione continui”, dice Ozmen. Dopo essersene andato, il giovane torna nel giro di circa venti minuti per chiedere un altro sole sulla spalla.

Rozerin Soysal, 21 anni, si sta facendo fare il suo secondo deq da Temel, sempre un motivo legato al sole. Il suo primo tatuaggio, sul polso, è un simbolo di fedeltà ed era tradizionalmente usato dalle donne che temevano che i loro mariti prendessero un’altra moglie. Un po’ di tempo fa l’ex fidanzato di Soysal l’ha tradita, spezzandole il cuore. “Così mi sono fatta questo tatuaggio per evitare che mi succeda di nuovo”, racconta la ragazza.

La visita al villaggio

Temel, che ha dedicato la vita alla ricerca e alla documentazione dei simboli e dei motivi deq di varie comunità, a volte visita gli anziani tatuati nei villaggi orientali della Turchia, dai quali impara la storia di questa forma d’arte, per poi tornare nel suo studio.

Nel villaggio di Hayırlı, vicino a Mardin, Idi Ayaz, 75 anni, ha il simbolo sbiadito di un sole inciso al centro della fronte. Sul suo volto compare un ampio sorriso quando in casa sua arriva Temel. Ayaz avvicina il viso a quello della ragazza e ne osserva il deq, lo stesso motivo che unisce simbolicamente due donne di generazioni lontane. “È bellissimo”, le dice, toccandole delicatamente il mento e seguendo con le dita il motivo impresso con l’inchiostro.

Ayaz parla in kurmanji, un dialetto della lingua curda. Non conosce il turco. Mostra a Temel i deq che le coprono le mani: uno è il simbolo del pettine, che rappresenta la bellezza. Sulla gamba ha un motivo che richiama il rebab, uno strumento tradizionale a corde che si diffuse in Medio Oriente, Africa, Asia e in alcune parti d’Europa attraverso le rotte commerciali islamiche. “Solo le donne più belle hanno questo deq”, dice Ayaz con orgoglio.

Con il telefono Temel scatta alcune foto di ogni tatuaggio, che poi ricreerà nel suo studio. “Quando eravamo giovani amavamo questi tatuaggi”, dice Ayaz, che ha fatto il suo primo deq a quindici anni. Temel si siede in silenzio, ascoltando con attenzione. “Erano una parte importante della nostra vita. Ne volevamo sempre di più. Non saprei dire qual è il mio preferito. Amo tutti i miei deq allo stesso modo”, prosegue l’anziana. Temel si alza e prende posto accanto ad Ayaz, sul cuscino. La donna anziana si ferma, fissando per qualche istante gli occhi della ragazza. “Non avevo mai visto prima una giovane con questi tatuaggi. E penso che sia bellissimo”, commenta.

In una modesta casa di cemento nella città di Viranşehir, nella provincia di Şanlıurfa, sempre nel sudest del paese, un gruppo di donne arabe siede in un ampio e affollato soggiorno attorno a un unico ventilatore, cercando di sfuggire al caldo insopportabile.

Dietro di loro c’è un dipinto di Shahmaran, una creatura mitologica metà donna e metà serpente presente nel folclore della cultura curda e di quelle di tutto l’Iran, dell’Anatolia, degli altipiani armeni e dell’Iraq.

All’arrivo di Temel saltano in piedi per l’eccitazione. Tutte hanno un simbolo del sole sulla fronte. Subito dopo aver visto il volto tatuato di Temel, si tirano su le maniche dei vestiti, sollevano i pantaloni e mostrano i numerosi deq che decorano i loro corpi. Temel le tempesta di domande sulle storie dietro i disegni.

Una delle signore a un certo punto tira in ballo Fatima, la figlia del profeta Maometto. Le donne dei villaggi orientali della Turchia, insieme a quelle delle comunità del Nordafrica, si tatuano da tempo le labbra in onore di Fatima, che rimane una delle figure femminili più importanti dell’islam.

Saliha Özşavlı, ottant’anni, ha dieci tatuaggi. Dice di aver scoperto il deq grazie ai nomadi dom. Molti anziani con tatuaggi tradizionali, che vivono nei territori compresi tra la Turchia e la Palestina, li riconducono al popolo dom. “Abbiamo visto loro con questi tatuaggi e ci sono piaciuti molto”, racconta Özşavlı. “Le donne del mio villaggio hanno imparato dai dom e hanno cominciato a farli anche alle persone che vivevano qui”.

Se il motivo del sole di Temel simboleggia la sua ricerca di saggezza, quello di Özşavlı è una richiesta di protezione: si ritiene che il sole possa proteggere dal malocchio. Özşavlı si tatuò tre puntini sulla mano per chiedere che il marito le rimanesse fedele dopo il matrimonio, temendo che lui si sposasse con un’altra donna. “Ma alla fine si è preso comunque un’altra moglie”, dice con un’alzata di spalle, mentre le altre scoppiano in una risata. “Quando mi guardo allo specchio, penso che siano tutti belli, perché amo me stessa e ho a cuore il viaggio che è stata la mia vita”. Guardando Temel, aggiunge: “Mi piace vedere questo deq sui giovani. E il suo tatuaggio è ancora più bello del nostro”.

Una responsabilità

Tornata nel suo piccolo studio, Temel disegna su un taccuino i tatuaggi che ha appena scoperto e fotografato. “È responsabilità della nostra generazione documentare questa cultura”, dice con gli occhi fissi sulle pagine, mentre ag­grotta le sopracciglia e traccia con cura i disegni.

“Questi simboli collegano diverse comunità attraversando continenti, lingue e identità, in modi che ancora non capiamo del tutto. I tatuaggi hanno una dimensione mistica e ultraterrena”, prosegue. “Non posso permettere che questa tradizione scompaia. Gli anziani non saranno tra noi ancora per molto. Siamo l’ultima generazione che può preservare questa cultura e garantire che non muoia con loro”. ◆ ff

Biografia

1998 Nasce nel villaggio di Derik, nel sudest della Turchia.
2018 Realizza il primo deq, sul suo mento. Comincia a tatuare i cugini e va a visitare gli anziani nei villaggi della regione per approfondire la conoscenza della tradizione.
novembre 2021 Apre uno studio di tatuaggi all’interno del centro storico della città di Diyarbakır, dove realizza solo tatuaggi della tradizione deq.


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Questo articolo è uscito sul numero 1497 di Internazionale, a pagina 68. Compra questo numero | Abbonati