Nell’autunno del 2022 sembrava arrivato il momento che Eugen Roch­ko aspettava. Aveva scritto centinaia di righe di codice e sviluppato due applicazioni, una per il sistema operativo Android e una per quello della Apple. Tutto per creare un social network migliore di Twitter. L’aveva battezzato Mastodon, dal nome di una specie estinta di mammut. Un anno fa aveva già 500mila utenti attivi. Un bel numero, anche se pochi in confronto ai 368 milioni di Twitter, la piattaforma di microblogging più famosa del mondo.

Poi c’è stato il 27 ottobre 2022. Quel giorno Elon Musk ha comprato Twitter per 44 miliardi di dollari. Rochko ha commentato: “L’avevo detto”. E non era il solo: anche altri, per esempio gli sviluppatori di un altro social network, Bluesky, credevano che ci fosse urgente bisogno di un’alternativa a Twitter nel caso in cui la piattaforma fosse finita nelle mani del proprietario sbagliato. La libertà d’espressione, per loro, è un bene troppo prezioso per essere esposto a simili rischi. Tuttavia Rochko ha capito presto che riportare la cultura del dibattito ai tempi d’oro di Twitter sarebbe stato molto più difficile del previsto.

Elon Musk, il miliardario sudafricano, considera Twitter il suo “parco giochi”, e ha rapidamente mostrato al mondo quanto fossero fondate quelle paure: ha licenziato molti dipendenti, compresi quelli che si occupavano di rimuovere dalla piattaforma i messaggi d’odio e le notizie false, ha fatto bloccare i profili di chi lo criticava e ne ha riattivati altri, compreso quello dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Da quel giorno, in una cittadina nello stato tedesco della Turingia, lontana da San Francisco, Eugen Rochko dorme poco più di tre ore a notte. “I server sono andati a fuoco, in senso metaforico, ovviamente”, dice. Da tutto il mondo, migliaia di utenti di Twitter frustrati si sono riversati su Mastodon. In un mese il numero di profili attivi è triplicato, toccando quota due milioni e mezzo.

Nel novembre 2022 si pensava che un software programmato in Germania da un anonimo informatico e da un paio di freelance potesse quasi superare Twitter. Ma a distanza di un anno, il “parco giochi” di Musk, anche se è piuttosto malandato, è sempre molto più grande di Mastodon. Perché è così difficile creare un nuovo social network? E chi può essere tanto incosciente da provarci lo stesso?

Ho dovuto insistere per riuscire a incontrare Rochko. Mastodon non ha un ufficio e lui non partecipa quasi mai a impegni pubblici o conferenze. Non ha mai incontrato di persona la maggior parte dei suoi dipendenti. “Non ne ho bisogno per fidarmi”, dice. Nel mondo reale sembra ancora più insicuro: al nostro appuntamento, senza avvertirmi, ha portato anche la moglie. Lei è timida e gentile, come lui. Si sono scritti per dieci anni su internet prima di vedersi di persona. Mentre lui parla la guarda spesso, come per dire: “Tu sai cosa intendo?”. Lei sorride e annuisce.

Rochko mi ha proposto d’incontrarci in un bar in una cittadina vicino a Jena. Preferisce non rivelare dove vive. A ogni modo non è un posto dove ci si aspetterebbe di trovare un imprenditore del settore tecnologico. Nel bar sono sedute delle donne anziane che hanno ordinato Aperol Spritz e torta al mandarino e panna acida.

Quando le cose sono cambiate

Eugen Rochko è nato in Russia nel 1993 da genitori ebrei. Quando aveva undici anni la famiglia è emigrata in Germania. Ha imparato a programmare da autodidatta. Durante gli anni di scuola a Jena ha creato siti web, tra cui uno di commercio elettronico per artisti e un forum per appassionati di fumetti manga. Poi ha cominciato a studiare informatica all’università di Jena.

Twitter, fondata nel 2006, è diventata presto la sua piattaforma preferita. “Ti permette di esprimere i tuoi pensieri senza dover per forza scrivere un saggio su cosa pensi di una serie tv o del tempo. Mi ha anche aiutato a farmi nuovi amici”, spiega.

Rochko non può cacciare nessuno dalla rete per capriccio

Non saprebbe indicare esattamente il momento in cui le cose sono cambiate. Forse nel 2014, quando i troll hanno cominciato a molestare le donne che giocavano ai videogiochi e nessuno ha mosso un dito per impedirlo. Oppure nel 2016, quando circolavano voci secondo cui l’azienda sarebbe stata venduta a Peter Thiel, fondatore di PayPal. Poi Rochko ha capito che Twitter era troppo importante per appartenere a una sola persona. Per esempio a un miliardario con un debole per i regimi autoritari. A quel punto Roch­ko ha provato Gnu social, una delle prime piattaforme decentralizzate, ma non gli è piaciuta: “Ero sicuro di poter fare di meglio”, racconta.

Simili, ma diversi

È stato quello l’inizio di Mastodon. Il social network di Rochko all’apparenza è molto simile a Twitter (che ora si chiama X). Eppure funziona in modo completamente diverso: Mastodon è composto da migliaia di server, senza un nodo centrale. Chi si registra deve scegliere uno di questi server, chiamati istanze. Il software è disponibile gratuitamente. Chiunque abbia un po’ di competenze informatiche e di tempo a disposizione può creare la propria istanza. “Nessuno dovrebbe poter staccare la spina a tutti”, dice Rochko, “nemmeno io”. Attualmente ci sono 9.941 server, il più grande dei quali, mastodon.social, è gestito dallo stesso Rochko. Gli utenti possono vedere cosa viene pubblicato sulle altre istanze e scegliere di trasferirsi, perché i server comunicano tra loro.

Rochko non può cacciare nessuno dalla rete per capriccio, a differenza di quanto fa ogni tanto Elon Musk su X. Tuttavia, in quanto gestore dell’istanza mastodon.social, può stabilire delle regole. Decide anche con quali altre istanze può comunicare il suo server, e quali bloccare. Per esempio ha bloccato il server della rete estremista di destra Gab, apparso su Mastodon nel 2019.

Anche chi è convinto di avere in corpo un microchip che gli sarebbe stato impiantato insieme al vaccino contro il coronavirus, chi nega l’olocausto o l’esistenza della Repubblica federale tedesca può iscriversi su Mastodon. Forse troverà perfino un server con altre persone che la pensano allo stesso modo. Ma i gestori di altre istanze possono relegarlo in un angolo oscuro nelle profondità di Mastodon e lasciarlo ruggire a vuoto. È questa l’idea: un social network che si regola da solo, e in cui nessun singolo può avere più voce in capitolo di una massa di persone.

Esistono molte piattaforme decentralizzate come Mastodon. Tutte vogliono invertire i rapporti di potere nella rete, trasferire l’autorità dalle grandi aziende tecnologiche agli utenti. Una specie di internet com’era prima che gli imprenditori della Silicon valley la colonizzassero. Ci sono Pixelfed, l’alternativa a Instagram, PeerTube invece di YouTube, oppure Friendica, che dovrebbe sostituire Facebook. Insieme formano il fediverso (parola formata da “federato” e “universo”), una rete di social network che usano lo stesso protocollo, l’ActivityPub. Basta un account per poter passare dall’una all’altra istanza.

Nel gergo del settore, uno come Roch­ko è chiamato “benevolo dittatore a vita”. Ha lasciato libera la piattaforma Mastodon, ma rimane la persona più potente del social network. Per esempio, chi desidera nuove funzioni, una barra di ricerca o un hashtag, deve chiedere a lui d’introdurli. “Mi sento a mio agio in questo ruolo”, dice. “Un individuo con un’idea forte costruisce sempre un prodotto migliore di un gruppo”. Suona quasi come un seguace di Mark Zuckerberg o di Elon Musk. Davvero Rochko ha a cuore una rete democratica? O vuole semplicemente esserne al vertice? In fondo in cosa consiste la differenza di Mastodon, se alla fine è sempre una persona sola a decidere?

Rochko è prudente. Valuta sempre tutto prima di ogni minima modifica al soft­ware. Poi spiega pubblicamente le sue scelte. È anche questo il motivo per cui a molti piace descriverlo come un anti-Musk. Lui stesso si rispecchia poco nel proprietario di X. “Non sono un miliardario e non mi comporto come lui”, dice. Da un lato, approfitta dell’immagine di ‘Davide contro Golia’. Dall’altro, Mastodon dovrebbe essere più che una copia di X per tempi migliori. Vorrebbe essere parte di qualcosa di più grande.

Non è difficile credere che il programmatore abbia fondato Mastodon sulla base di un ideale. Di sicuro non diventerà ricco. Mastodon è un’azienda senza scopo di lucro e si finanzia con le donazioni. Nel 2021 ha raccolto 326mila euro. Quando la rete era appena nata, viveva con i genitori grazie ai prestiti studenteschi e si accontentava di essere apprezzato nell’ambiente degli hacker. Ora si è trasferito in una casa sua e ha assunto due dipendenti a tempo indeterminato. Dice di avere uno stipendio di 36mila euro all’anno. In media, X offre a un ingegnere del software cinque volte di più. Ed è qui che si arriva al dilemma di Rochko. Perché per Mastodon, che non guadagna nulla dai suoi utenti, la crescita è il primo problema. Ogni account e ogni post consuma la capacità dei server. Allo stesso tempo, aumentano gli sforzi necessari a moderare i contenuti. Solo per mantenere in funzione i server ci vogliono cinquemila euro al mese. L’anno scorso – quando era l’unico dipendente a tempo indeterminato – l’azienda ha avuto spese per 127mila euro.

Rochko ha ricevuto spesso offerte da fondi che investono capitale di rischio. Non ha mai risposto, ma saprebbe come spendere quei soldi. Per esempio per degli addetti alle pubbliche relazioni che convincano gli utenti più famosi di X a provare Mastodon. Perché è così: chi ha molti utenti resta rilevante a lungo. Finché scienziati, capi di governo e giornalisti diffonderanno i loro messaggi su X, Mastodon non diventerà popolare. Nemmeno le scelte più discutibili di Musk hanno intaccato questo effetto a catena. “La prima cosa che fanno gli utenti è cercare persone famose da seguire”, dice Roch­ko, “e ovviamente non trovano tutti”.

Vuoti da riempire

Questa frustrazione si può esprimere anche in cifre: Mastodon ha attualmente 1,7 milioni di account attivi. È circa il 30 per cento in meno rispetto al picco di un anno fa. Ma anche X si sta svuotando. Ha perso quasi 30 milioni di utenti da quando Musk ne ha preso le redini. Mastodon non ne trae vantaggio anche per una questione d’immagine. Server decentralizzati, rete confederata, ActivityPub: cose che fanno pensare a degli hacker incappucciati. “Cercano una piattaforma simile a X e che sia altrettanto facile da usare, ma che non appartenga a Musk”, dice Rochko. Per lui il problema non è tanto Musk, ma le gerarchie all’interno dei social network.

A luglio Mark Zuckerberg, amministratore delegato della Meta, l’azienda che possiede Facebook, ha introdotto una nuova copia di Twitter: Threads. In una settimana si sono registrate più di cento milioni di persone, la crescita storicamente più rapida di un’app. Meta vuole integrare presto la piattaforma nel fediverso. E così si è aperta una discussione: Threads riuscirà a far conoscere al grande pubblico questa rete alternativa o finirà per comprarla? Rochko sostiene di essere felice per questa novità. Cos’altro potrebbe dire? Dopotutto la cosa non lo riguarda. ◆ nv

Biografia

1993 Nasce in Russia.
2004 Insieme alla famiglia emigra in Germania.
2016 Fonda il social network Mastodon, che prende il nome da una specie estinta di mammut.
2018 Mastodon raggiunge 1,5 milioni di utenti. Oggi ne ha 1,8 milioni.


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Questo articolo è uscito sul numero 1539 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati