Joe Rogan, controverso conduttore di podcast statunitense, intervista Steve Jobs, fondatore della Apple e guru dell’imprenditoria del nuovo millennio. Per venti minuti affrontano temi molto diversi tra loro, tra cui la filosofia indiana, l’lsd, la Apple, i punti di forza delle aziende concorrenti e le prospettive per il futuro. Un’intervista di per sé non molto interessante, se non per il fatto che nella realtà non è mai avvenuta. Steve Jobs è morto undici anni fa e Joe Rogan ha un contratto milionario di esclusiva con Spotify. Sia le domande dell’intervistatore sia le risposte dell’intervistato sono state generate dall’intelligenza artificiale e dal machine learning: il testo è stato generato da un software che ha combinato insieme testi e trascrizioni d’interviste del passato, mentre le voci sono state create da un sintetizzatore vocale che ha combinato ore di registrazioni audio dei protagonisti. Al di là delle inquietudini distopiche che questo esperimento ha creato, vengono fuori alcune questioni urgenti sulla nostra futura convivenza con gli algoritmi: che diritto hanno le aziende di usare le impronte digitali senza il consenso delle persone interessate, soprattutto dopo la loro morte? E, se anche il settore dell’intrattenimento in futuro potrà essere automatizzato, quali saranno le fonti di reddito delle persone rimaste senza lavoro?

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Questo articolo è uscito sul numero 1483 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati