Vista dal Messico la globalizzazione sta andando a gonfie vele. Le aziende di tutto il mondo si stabiliscono qui, soprattutto nelle regioni del nord, al confine con gli Stati Uniti. Tra il 2020 e il 2022 la Mattel ha speso 47 milioni di dollari per rendere la fabbrica di Monterrey la più grande del mondo. Il gigante taiwanese dell’elettronica Foxconn ha investito 690 milioni di dollari in quattro anni per rafforzare la sua presenza in Messico. Nel 2023 gli investimenti stranieri nel paese hanno battuto ogni record, toccando i 36 miliardi di dollari. Con il Vietnam, l’Indonesia e il Marocco, il Messico fa parte dei cosiddetti paesi “connettori”, diventati le cinghie di trasmissione di una globalizzazione inceppata dalle tensioni geopolitiche e dall’espansione del protezionismo. “Il commercio e gli investimenti mondiali hanno resistito soprattutto perché i flussi passano attraverso i paesi connettori”, spiegava il Fondo monetario internazionale (Fmi). Un suo studio pubblicato ad aprile afferma che questi paesi “potrebbero ottenere dei vantaggi dalla crescente frammentazione geopolitica”.
Il Messico approfitta della rivalità tra la Cina e gli Stati Uniti. Dopo lo scoppio della guerra dei dazi tra le due potenze nel 2018, Pechino ha aumentato gli investimenti nel settore manifatturiero messicano per aprirsi un varco verso l’economia statunitense: tra il 2017 e il 2022 li ha quasi decuplicati, passando da 31,6 a 282 milioni di dollari, anche se restano appena l’1 per cento del totale annuale del settore.
Il colosso cinese dell’elettronica e degli elettrodomestici Hisense ha annunciato nel 2021 un finanziamento di 260 milioni di dollari per uno stabilimento a Monterrey, dove vorrebbe insediarsi anche la Byd, uno dei leader mondiali delle auto elettriche, che a sua volta punta al mercato nord-americano. Secondo la SiiLa, una società di ricerche specializzata nel settore degli immobili commerciali, due terzi delle imprese cinesi in Messico si concentrano nelle regioni industriali di Monterrey, Saltillo e Tijuana, situate lungo il confine con gli Stati Uniti. Un fatto che lascia pochi dubbi sul mercato a cui puntano. Il Messico condivide con gli Stati Uniti una frontiera comune e uno spazio di libero scambio di cui fa parte anche il Canada. Tra Monterrey e Laredo (in Messico) ci sono progetti per ampliare autostrade e viadotti in modo da alleggerire il traffico di camion diretti in Texas.
Le aziende statunitensi hanno imparato la lezione dopo le ultime crisi: invece di aspettare per mesi i container bloccati nei porti cinesi, com’è successo durante la pandemia, o all’ingresso del canale di Panamá, dove il traffico si è ridotto a causa della siccità, preferiscono spendere un po’ di più, rifornendosi nei paesi vicini. A dicembre del 2022 la ministra messicana dell’economia Raquel Buenrostro Sánchez ha fatto sapere che quasi quattrocento imprese avevano contattato la sua amministrazione per spostare le loro fabbriche dall’Asia al Messico. Un mese dopo il Canada, gli Stati Uniti e il Messico si sono posti l’obiettivo di sostituire un quarto delle loro importazioni dall’Asia con prodotti dei loro territori. Tutto questo ha accelerato lo sviluppo del settore dell’elettronica in Messico, che ha registrato una crescita annuale media dell’8,8 per cento tra il 2022 e il 2023, rispetto al 3,9 per cento degli anni precedenti. Nel 2023 il Messico ha anche superato la Cina come primo partner commerciale mondiale degli Stati Uniti.
Legami indiretti
Nell’organizzazione delle catene di fornitura la vicinanza conta come i costi. “Non va intesa solo in senso geografico o diplomatico, ma anche normativo, culturale o linguistico”, osserva Julien Marcilly, economista capo del Global sovereign advisory. È il caso del Vietnam e della Cina. Tra il 2017 e il 2022 la quota vietnamita nelle importazioni statunitensi è passata dal 2 al 4 per cento. Nello stesso periodo le importazioni vietnamite dalla Cina sono cresciute, passando dal 35 al 40 per cento. “È evidente che i legami diretti tra gli Stati Uniti e la Cina sono stati sostituiti da legami indiretti”, afferma l’Fmi. Negli ultimi anni il fondo ha constatato che, se la quota di un paese nelle importazioni statunitensi aumentava dell’1 per cento, la quota nelle esportazioni cinesi aumentava dell’1,6 per cento.
In uno studio presentato ad agosto del 2023 alla Federal reserve di Kansas City (uno dei dodici istituti distrettuali della banca centrale statunitense) gli economisti Laura Alfaro e Davin Chor hanno concluso che, “anche se gli Stati Uniti aumenteranno le forniture e le importazioni dal Vietnam e dal Messico, probabilmente continueranno a essere legati alla Cina e a dipenderne attraverso l’intermediazione di questi paesi”. I legami economici tra la Cina e gli Stati Uniti non sono stati tagliati. “L’aspetto paradossale è che, nel desiderio di proteggersi dalla Cina, Washington in realtà sta spingendo tra le braccia di Pechino molti paesi che non vedono l’ora di ricevere gli investimenti cinesi”, afferma Koen De Leus, economista capo della banca belga Bnp Paribas Fortis.
Alcuni paesi sono diventati una porta d’ingresso al mercato europeo. È il caso del Marocco, che negli ultimi anni ha ricevuto dalla Cina importanti investimenti nel settore automobilistico, mentre Bruxelles minaccia di aumentare i dazi doganali sui veicoli del paese asiatico. “Il mercato interno europeo è il più grande del mondo, quindi avere un accesso è un vantaggio importante su cui trattare”, ha spiegato il ministro francese dell’economia e delle finanze Bruno Le Maire, nella speranza di imporre a Pechino regole commerciali più severe. Il Marocco, che produce 700mila veicoli all’anno, potrebbe offrire una via per aggirare questi ostacoli.
“Le aziende cercano di diversificare le fonti di approvvigionamento e questo favorisce l’emergere di paesi intermediari”, sostiene Marion Jansen, economista dell’Organizzazione della cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). Ma allo stesso tempo, aggiunge, questa diversificazione può tradursi in un aumento dei costi di produzione.
La globalizzazione è comunque molto fragile e dipende dalla capacità di questi nuovi punti di riferimento di mantenere l’equilibrio tra le grandi potenze economiche. A marzo Donald Trump ha promesso che, se a novembre sarà rieletto alla Casa Bianca, tasserà al 100 per cento le importazioni di veicoli cinesi assemblati in Messico. ◆ gim
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1566 di Internazionale, a pagina 106. Compra questo numero | Abbonati