Quando scoprì il gioco di ruolo Dungeons & dragons (D&d), Tony Ford era un ragazzino nero magro che non aveva mai visto l’interno di una prigione. Sua madre, una poliziotta di Detroit, aveva lasciato le forze dell’ordine e si era trasferita con la famiglia nel Texas occidentale. A Ford sembrava di essere finito in un mondo alieno: la gente parlava in modo strano ed El Paso era quasi deserta. Ma almeno c’erano tanti spazi dove poteva scorrazzare con lo skateboard. Dopo un po’ fece amicizia con un ragazzo bianco, un nerd appassionato di D&d, e si innamorò immediatamente del gioco. Era una saga complessa in cui poteva perdersi. E negli anni ottanta sembrava che piacesse a tutti.

D&d era stato messo in commercio dieci anni prima, senza troppo clamore, ma con il passare del tempo era diventato famoso per le statuette in miniatura e il dado a venti facce. I ragazzi erano conquistati dal modo in cui combinava la collaborazione di squadra con la possibilità di creare la propria avventura. In D&d i partecipanti creano i propri personaggi (nella maggior parte dei casi creature magiche come elfi e maghi) per lanciarsi in lunghe missioni in mondi di fantasia. Un narratore e arbitro chiamato Dungeon master guida i giocatori attraverso ogni svolta della trama. C’è un elemento di fortuna: il dado può determinare se un colpo è abbastanza forte da abbattere un mostro o se qualcuno correrà in soccorso. Nel corso degli anni il gioco è diventato uno dei più popolari al mondo ed è stato celebrato in film e serie tv nostalgiche. Oggi le persone ci giocano in casa, in grandi tornei per appassionati e anche in carcere.

Alle superiori Ford trovò nuovi interessi: le ragazze, le auto e gli amici, che nel suo caso spacciavano droga e facevano parte di gruppi criminali. Riuscì a evitare guai seri fino al 18 dicembre 1991. Quel giorno, intorno alle nove di sera, due afroamericani bussarono alla porta di una piccola casa nel sud di El Paso. Chiesero di parlare con “l’uomo di casa”, ma la donna dall’altro lato della porta, Myra Murillo, si rifiutò di lasciarli entrare. Pochi minuti dopo i due tornarono e sfondarono la porta, pretendendo soldi e gioielli. Uno di loro aprì il fuoco, uccidendo il figlio diciottenne di Murillo, Armando. Nel giro di poche ore la polizia fermò un sospettato che fece il nome di Ford, all’epoca diciottenne. Il giorno dopo il ragazzo fu arrestato.

Ford ha sempre sostenuto che a sparare erano stati due fratelli e che lui era rimasto in macchina per tutto il tempo. Gli inquirenti non trovarono prove schiaccianti del suo coinvolgimento nel crimine, quindi Ford si rifiutò di patteggiare, sicuro che la giuria l’avrebbe assolto. Il processo si svolse nel luglio 1993. Ford fu condannato. A ottobre era nel braccio della morte. Aveva vent’anni.

All’epoca i detenuti condannati a morte venivano mandati in una prigione a Huntsville, in Texas, dove centinaia di persone erano ammassate in celle anguste. I carcerati potevano trascorrere il tempo insieme guardando la tv, giocando a basket, facendo vari tipi di lavori. E, dato che le celle erano chiuse da sbarre e non da porte blindate, i detenuti potevano parlarsi. Un giorno Ford ha sentito frasi familiari arrivare dal piano superiore: “Faccio un incantesimo!”, “Non credi che siano troppi?”, “Penso che devi lanciare il dado”. Era il suono di D&d.

Attualmente i penitenziari del Texas ospitano circa duecento condannati a morte, meno della metà rispetto al picco del 1999. Negli ultimi vent’anni il numero di detenuti colpiti da questa sentenza si è progressivamente ridotto, perché i costi processuali sono aumentati ed è diminuito il sostegno dell’opinione pubblica.

Le persone che arrivano nel braccio della morte ogni anno sono sempre di meno, ma tendono a restarci più a lungo. Alcuni stati fanno fatica a procurarsi i farmaci da iniettare, e varie sentenze hanno bloccato le esecuzioni di persone con disabilità mentali. A volte gli avvocati cercano per anni di dimostrare che i loro assistiti hanno gravi problemi cognitivi – quindi mettere fine alla loro vita sarebbe un atto di crudeltà – o che le nuove tecnologie basate sul dna potrebbero dimostrare la loro innocenza. All’inizio degli anni ottanta i detenuti di tutto il paese trascorrevano in media sei anni nelle sezioni per i condannati a morte prima dell’esecuzione. Oggi può capitare che ci restino anche vent’anni.

In molti casi vivono in un isolamento così estremo che le Nazioni Unite lo considerano una forma di tortura. “Secondo le norme internazionali, l’isolamento dovrebbe essere una misura da usare solo in casi estremi”, dice Merel Pontier, avvocata del Texas che ha studiato le condizioni di reclusione nel braccio della morte. Decenni di ricerche indicano che l’isolamento a lungo termine può provocare allucinazioni e psicosi. Tra i detenuti costretti a vivere separati dagli altri il tasso di suicidi è superiore a quello della popolazione carceraria nel suo complesso. Alcuni rinunciano ai processi d’appello e si offrono volontari per l’esecuzione.

Non in tutti gli stati, però, i condannati a morte restano in isolamento: in Missouri e in California alcuni vivono insieme agli altri carcerati; in Arizona possono uscire in cortile e trascorrere qualche ora in compagnia; in North Carolina possono lavorare; in Florida possono guardare la tv in cella; in Louisiana ricevono visite di amici e i parenti.

La sezione dei condannati a morte di Huntsville, dove era finito Ford, concesse in parte queste possibilità fino al 1998, quando un incidente cambiò tutto. La sera del giorno del ringraziamento, il 23 novembre, sette detenuti organizzarono una fuga. Un complice rimase nel cortile a giocare a basket, facendo rumore per coprire il suono del seghetto con cui gli altri stavano aprendo un varco nella rete metallica. Le guardie trovarono i fuggitivi e cominciarono a sparargli. Sei di loro si arresero, mentre uno riuscì a raggiungere il bosco vicino al penitenziario. Una settimana dopo alcune guardie fuori servizio ritrovarono il suo corpo in un torrente.

Alcune ambientazioni create da Wardlow (Glenna Gordon)

Ogni tre mesi

Quando tornò l’estate, i condannati a morte sapevano che la loro vita sarebbe cambiata in peggio. Le autorità avevano annunciato che li avrebbero trasferiti in un nuovo carcere di massima sicurezza, l’Allan B. Polunsky, a Livingston, in Texas. Ford ricorda di essere stato caricato sul secondo autobus diretto verso la struttura. Da allora i detenuti rinchiusi lì passano le giornate in isolamento quasi totale: sono autorizzati a lasciare le loro celle tre volte alla settimana e per due ore, da soli, stando nelle sale ricreative o in aree recitate.

I detenuti raccontano che a volte trascorrono intere settimane senza uscire all’aperto o fare la doccia (il dipartimento di giustizia penale del Texas risponde che non è vero). I dirigenti del penitenziario concedono ai condannati a morte una telefonata di cinque minuti ogni novanta giorni. Per questi detenuti l’unico contatto fisico regolare con altri esseri umani è quando vengono ammanettati dalle guardie.

Poco dopo l’inizio della pandemia un nuovo direttore della prigione ha introdotto dei cambiamenti, ha fatto portare televisori in alcune sale ricreative e ha permesso ai condannati di scambiarsi messaggi scritti con un gruppo di detenuti che gestisce un’emittente radiofonica. Nel 2022, quando il sistema carcerario statale ha ricevuto in dotazione i tablet, i condannati a morte hanno avuto accesso limitato alle email, che comunque vengono controllate attentamente dalle guardie.

In ogni caso il braccio della morte di Polunsky resta uno dei più duri del paese. Per questo articolo mi sono scritta per anni con i condannati a morte. Le telefonate con i giornalisti non sono permesse e ho potuto fare solo interviste di un’ora, strettamente supervisionate, una volta ogni tre mesi. Per alcuni di questi uomini sono stata la persona che li andava a trovare più spesso.

Contro l’isolamento, gli uomini nel braccio della morte cercano per buona parte della giornata modi per allontanare i pensieri negativi e i rimorsi. Alcuni leggono o trovano la fede. Altri giocano a Scarabeo o a scacchi (comunicando le mosse attraverso bigliettini). Altri ancora scelgono D&d, assaporando briciole di quella libertà che si sono lasciati alle spalle.

Le descrizioni dei personaggi creati da Wardlow (Glenna Gordon)

Quando Ford ha sentito per la prima volta le voci dei giocatori di D&d, a Huntsville, ha capito che si trattava di una versione accelerata e “potenziata” del gioco. I partecipanti erano affiliati della cosiddetta mafia messicana, e hanno fatto entrare Ford nel giro dopo aver scoperto che era bravo a disegnare. Ford ricorda che il capo della banda, un certo Spider, aveva sfruttato le sue conoscenze per farlo trasferire in una cella vicina alla sua, in modo che potesse fare disegni per lui. Ford guadagnava un po’ di soldi creando intricati motivi aztechi, e nel frattempo partecipava anche alle sessioni di D&d. Alla fine è diventato un master e ha cominciato a gestire partite in tutta la sezione.

Giocare a D&d in prigione è più difficile che in qualsiasi altro posto. Come succede nel mondo libero, ogni sessione può durare ore e fa parte di una trama più vasta che spesso va avanti per mesi o anni. Ma in carcere i giocatori non possono controllare le regole online o consultare i pesanti tomi con i dettagli sulla preparazione, sui personaggi e gli incantesimi, che sono costosi e difficilmente superano il controllo degli addetti alla posta. In alcuni stati i libri su D&d sono vietati, mentre in altri è proibito qualsiasi volume con la copertina rigida. In generale i libri che contengono mappe non sono mai ammessi, mentre i dadi sono considerati pericolosi perché possono incentivare il gioco d’azzardo. Spesso i condannati a morte li sostituiscono con ruote a spicchi fabbricate usando carta e pezzi di macchine da scrivere.

Nel vecchio braccio della morte di Huntsville i prigionieri riuscivano a comunicare le mosse facilmente attraverso le sbarre e potevano giocare seduti intorno ai tavoli di ferro negli spazi comuni o sotto il sole del cortile. È lì che Ford, alla fine degli anni novanta, vide quattro detenuti che giocavano a D&d. Quando chiese chi fossero, scoprì che il bianco alto due metri e con gli occhiali e i capelli a spazzola era Billy Wardlow. Ford non lo conosceva – le loro celle non erano mai state vicine – ma ne aveva sentito parlare. “Da quello che dicevano tutte le persone informate, era chiaro che Billy era considerato universalmente uno di ‘quelli buoni’”, ha scritto Ford in un documento processuale del 2019. Wardlow era un uomo leale che non piantava grane. Una volta, a metà degli anni novanta, aveva partecipato a uno sciopero della fame organizzato dai detenuti neri per protestare contro la frequenza crescente delle esecuzioni. “Ci sembrava strano che un bianco si unisse a noi. In carcere è molto difficile superare le barriere razziali”, mi ha scritto Ford.

Nel penitenziario Polunsky era decisamente più difficile partecipare alle partite di D&d. Quando sono arrivati nella nuova struttura, i detenuti hanno scoperto che molti dei loro bagagli erano stati confiscati. Inoltre erano andate perse le annotazioni, le mappe disegnate a mano, le ruote a spicchi e gli schizzi dei personaggi. Soprattutto, non avrebbero più potuto giocare insieme seduti a un tavolo. Così hanno dovuto escogitare forme di comunicazione clandestine, tra cui i messaggi chiamati “aquiloni”, passati da una cella all’altra. Ma per Ford c’era un lato positivo. A Polunsky avrebbe avuto finalmente la possibilità di giocare a D&d con Billy Wardlow, la leggenda del braccio della morte.

Un piano sbagliato

Per gli standard dei detenuti condannati a morte, il passato di Wardlow non aveva niente di eccezionale. Era cresciuto nella cittadina di Cason, in Texas, dove suo padre lavorava in fabbrica e la madre era custode in una chiesa battista. Aveva un fratello maggiore (ne avrebbe avuti due se il secondogenito non fosse morto quando aveva sei mesi). Wardlow ha raccontato che sua madre visitava la tomba del bambino e si aggrappava alla terra pregando dio che le regalasse un altro figlio. “Da quando ho memoria mia madre mi ha detto che ero un dono di dio”, ha scritto Ward­low in un documento processuale. “Ma non sempre mi sono sentito così”. La madre di Wardlow era irascibile e lo picchiava con la cintura, con le antenne delle auto e con tubi di plastica. Una volta, quando lui aveva dieci anni, la donna gli puntò contro una pistola dopo averlo sorpreso a rubare dal suo portafoglio. “Mi diceva che mio padre era un alieno arrivato da un altro pianeta e che nessuno mi avrebbe mai amato, a parte lei”, mi ha scritto in una lettera. “Le credevo”.

A scuola Wardlow era un solitario, anche se prendeva buoni voti ed era bravo con l’elettronica. Quando aveva sedici anni incontrò Tonya Fulfer nella biblioteca della scuola. Anche lei veniva da una famiglia problematica. Durante l’ultimo anno decisero di partire insieme, ma presto tornarono a Cason, dove il 14 giugno del 1993 Wardlow bussò alla porta di Carl Cole e chiese di usare il telefono. La giovane coppia voleva rubare la macchina di Cole e scappare in Montana per cominciare una nuova vita, ma il piano fallì. Ward­low, che aveva diciotto anni, sparò a Cole, poi fuggì con Fulfer a bordo del furgone. Furono arrestati due giorni dopo in South Dakota. Lui fu condannato alla pena capitale l’11 febbraio del 1995. Due giorni dopo fu trasferito nel braccio della morte.

A differenza di Ford, Wardlow non aveva mai giocato a D&d prima di finire in carcere. Qualche mese dopo il suo arrivo un detenuto gli prestò un libro pieno di nomi di fantasia e creature magiche. “Questo è il gioco”, gli disse. “Domani devi essere pronto”. Nei vent’anni successivi Wardlow ha giocato decine di partite con molti personaggi, tra cui uno che lo ha reso famoso tra i detenuti. Si chiamava Arthaxx d’Cannith, un prodigio della magia. Veniva da Eberron, un pianeta stravolto dalla guerra. Il posto era già famoso tra i giocatori di D&d, ma Arthaxx era interamente una creazione di Wardlow, che lo ha sviluppato scrivendo centinaia di pagine di annotazioni e illustrazioni.

Nato da un inventore e da una docente, Arthaxx aveva una sorella gemella che era morta da piccola. Dopo la morte della bambina, la madre di Arthaxx si rifiutò di permettere che quella tragedia compromettesse la sua carriera accademica e si buttò sul lavoro. Affidò il figlio a dei tutori, che diedero al ragazzo gli strumenti per diventare un mago. Dopo aver completato in anticipo gli studi in una prestigiosa scuola di magia, Arthaxx ottenne un lavoro in un’importante associazione, per cui inventò armi da guerra segrete. Arthaxx poteva fare incantesimi per controllare gli elementi, manipolare l’elettricità e scagliare muri di fuoco sul campo di battaglia. Ogni giorno Arthaxx usava le sue capacità per aiutare i leader della Casa di Cannith a perfezionare l’invenzione che avrebbe messo fine a un secolo di guerre. La notte tornava a casa dalla moglie, che era stata la sua ragazza al liceo.

In un certo senso Arthaxx era un alter ego di Wardlow, con qualche differenza: non aveva una madre squilibrata, i genitori lo amavano e lo avevano iscritto a una scuola importante, le sue abilità con l’elettricità gli permettevano di vivere comodamente, la fuga non era la sua unica scelta e soprattutto il suo errore peggiore non lo aveva fatto finire in prigione.

In quel carcere Ford avrebbe finalmente giocato con Billy Wardlow

Amici e complici

“‘Amico’ è una parola molto forte in carcere”, mi ha scritto Ford in una lunga lettera battuta a macchina che mi ha spedito tre anni fa. “Molte persone qui hanno tradito i loro ‘amici’. In carcere si parla piuttosto di complici, complici stretti”. Ma D&d ha trasformato i complici in una squadra. Dopo aver cominciato a giocare insieme a Polunsky, Ford si è accorto che quando Wardlow amministrava la partita gli altri non litigavano mai. Come master, Ward­low creava mondi enormi e intricati. Poteva gestire le partite senza affidarsi ai libri e alle mappe, improvvisando la trama.

Nel penitenziario Polunsky alcuni gruppi giocavano a D&d in orari casuali, lanciandosi nel mondo di fantasia ogni volta che erano dell’umore giusto. Ma se c’era Wardlow a gestire le partite, si seguiva un programma preciso. Di solito si cominciava alle nove del mattino tutti i lunedì, mercoledì e venerdì, e a volte i condannati giocavano fino a quando crollavano dal sonno. Era uno dei pochi appuntamenti che Ford e i suoi amici attendevano con trepidazione, un momento in cui nessuno avrebbe parlato di processi e appelli respinti. Attraverso i loro personaggi, alcuni condannati riuscivano ad aprirsi e ad affrontare argomenti che in altre circostanze non avrebbero mai discusso – genitori violenti, infanzie disperate, dipendenze da sostanze – rivelando i propri traumi personali e ricoprendoli di un sottile velo di fantasia. “Con Billy D&d è diventato una sorta di psicoterapia”, ha scritto Ford nel 2019.

Il carcere Polunsky non offre i programmi educativi e di assistenza psicologica disponibili nei normali penitenziari. Con i condannati a morte l’obiettivo non è la riabilitazione. Per gli appassionati di D&d il gioco serviva anche da corso per la gestione della rabbia e terapia di trattament0 delle dipendenze. Come Ford e Wardlow, molti condannati a morte sono entrati in prigione da giovani e non hanno mai avuto la possibilità di essere adulti nel mondo esterno.

Valutare i rischi

Wardlow ha regalato agli altri qualcosa a cui aspirare, non solo perché le sue partite davano ai giocatori uno scopo e una struttura, ma anche perché il suo caso giudiziario avrebbe potuto determinare un importante precedente. In Texas i carcerati possono essere condannati a morte solo se una giuria decide che sono pericolosi per la società. La pericolosità è stabilita in base al “rischio futuro”, un concetto che fa parte della legge statale sulla pena di morte dagli anni settanta. Da allora le neuroscienze si sono evolute e oggi gli esperti pensano che non sia possibile determinare con precisione il livello di pericolosità futura se il crimine è stato commesso da un ragazzo di diciotto o diciannove anni. Le ricerche indicano che la corteccia prefrontale, una parte del cervello associata alla regolazione delle emozioni e alla comprensione delle conseguenze delle proprie azioni, continua a svilupparsi fino ai vent’anni. Gli avvocati di Wardlow si sono affidati alla scienza nell’istanza presentata al tribunale, sostenendo che un cervello di un diciottenne non è molto diverso da quello di un diciassettenne.

La cittadella disegnata da Wardlow per il personaggio di Arthaxx d’Cannith (Glenna Gordon)

Quando gli altri condannati hanno scoperto i dettagli dell’appello, hanno cominciato a nutrire una speranza. “Credevamo che la corte suprema avrebbe preso la decisione giusta”, mi ha raccontato Ford l’anno scorso.

Nel frattempo, D&d era l’unica occasione per imparare come funziona il mondo. I giocatori dovevano assicurarsi di avere abbastanza oro per affittare un edificio o comprare un cavallo. Quando erano a corto di fondi, dovevano valutare il percorso migliore per rimpinguare le casse: trovare un lavoro nella taverna locale, per esempio, o partire alla ricerca di un tesoro. Se sceglievano la seconda opzione, dovevano essere prudenti e valutare i rischi. I condannati hanno stretto nel mondo di fantasia le amicizie che non potevano fare nella realtà. Dal recinto nell’area ricreativa del cortile, Wardlow consigliava Ford su come gestire i problemi con un altro prigioniero. Altre volte convinceva uno dei detenuti comuni che lavoravano come inservienti a consegnare a Ford il cibo che preparava nella sua cella. Ogni volta che si ritrovavano in celle vicine, Ford e Wardlow giocavano a D&d. Nella maggior parte dei casi Wardlow era il master, ma in qualche occasione cedeva il ruolo a Ford.

Nel 2013 la madre di Ford è morta e lui ha smesso di giocare. Ma Wardlow ha continuato a parlargli, anche se era una conversazione a senso unico attraverso le sbarre. Wardlow raccontava quello che gli passava nella testa, con voce calma e ipnotica. Lentamente Ford ha cominciato ad aprirsi, parlando della madre e scoppiando spesso in lacrime. Ricordava quanto fosse orgogliosa del suo lavoro nella polizia, ma anche tutte le cose che gli aveva insegnato sui computer quando era stata assunta in un magazzino Atari e di quella volta in cui gli aveva spiegato le regole degli scacchi. Un giorno Wardlow ha fatto avere a Ford delle caramelle gommose, perché sapeva che le adorava. “E così ho smesso di piangere quando parlavo di mia madre”, mi ha raccontato Ford due anni fa durante una delle nostre prime interviste di persona. “Pensavo a lei, ma non piangevo”. Qualche settimana dopo ha deciso di riprendere a giocare.

Salvezza rischiosa

Alla fine del 2019 Wardlow è stato trasferito nella sezione conosciuta come “guardia della morte”, destinata ai detenuti per cui è stata fissata la data dell’esecuzione. Quella di Wardlow era il 29 aprile 2020.

All’inizio Wardlow ha deciso che non avrebbe più giocato a D&d, ma poi Ford gli ha elencato tutti i personaggi che rischiavano di morire se non avesse partecipato. Wardlow sapeva che doveva intervenire per salvare la storia. “Va bene, ci sto”, ha detto. E così Arthaxx ha aperto di nuovo gli occhi. In una mattina di sole, all’interno di un’area lussureggiante di Eberron, il protagonista della storia lavorava intensamente a una nuova invenzione quando all’improvviso su di lui è calata una nebbia verde dagli edifici circostanti. Arthaxx se n’è accorto e ha lanciato un incantesimo, ma la magia si è infranta contro la foschia e si è animata, attaccando il suo creatore. Arthaxx ha perso i sensi.

D&d era l’unica occasione per imparare come funziona il mondo

Quando si è svegliato, ha visto il volto di uno straniero coperto di rune magiche. Erano passati sette anni e il mondo che conosceva era in rovina. Una luna maligna chiamata Atropus aveva cominciato a orbitare intorno al pianeta, scaricandovi una pioggia nauseante che resuscitava i morti dalle tombe. Gli dei erano scomparsi, rinchiusi in una prigione a forma di clessidra, e senza di loro la magia buona non era più efficace.

Così Arthaxx ha ideato un piano per sconfiggere la luna e salvare il mondo, ma la vittoria ha avuto un prezzo enorme. Metà degli avventurieri sono morti e i sopravvissuti si sono resi conto che dovevano ancora liberare gli dei. Per riuscirci, Arthaxx ha lanciato un incantesimo trasformandosi in un essere più potente. Era una mossa potenzialmente vincente, ma anche rischiosa. La nuova creatura, infatti, aveva la tendenza a esplodere, soprattutto se colpita duramente.

Quando il gruppo ha dovuto affrontare un’orda di esseri malvagi il risultato è dipeso dal caso. “Una delle basi di D&d è il lancio del dado”, mi ha ricordato Ford sporgendosi verso il vetro durante una delle mie visite. “Se tiri il dado e il punteggio è troppo basso per salvarti la vita, allora non c’è niente da fare”. Così, con uno sfortunato giro di ruota, Arthaxx ha smesso di vivere. Gli altri hanno continuato a combattere, ma senza l’aiuto del loro leader alla fine sono morti tutti. Dopo la conclusione della partita alcuni condannati hanno deciso di ricominciare. Ma non Wardlow. Sapeva di non avere abbastanza tempo. Lo stato del Texas aveva cancellato l’esecuzione fissata per aprile a causa della pandemia, ma aveva stabilito un’altra data: l’8 luglio 2020.

Memoria viva

Mentre le settimane passavano e il giorno dell’esecuzione si avvicinava, Ford e Ward­low si sentivano intrappolati in una trama in cui non avevano la possibilità di immaginare una fuga. “È una realtà immutabile”, mi ha spiegato Ford. “Non solo ti dicono che uno dei tuoi migliori amici morirà in un dato giorno, ma tu non puoi fare assolutamente niente per impedirlo”. Nella primavera del 2020 Wardlow ha deciso di cominciare un’ultima partita: un’avventura minore, più semplice, creata per i suoi amici e incentrata su una città mitologica e su una missione per recuperare una spada magica. “Sono sicuro che ti sarà capitato di vedere gli episodi finali di una serie che hai amato”, mi ha scritto Wardlow nella sua ultima lettera, il 24 giugno 2020, battuta a macchina nella sua cella. “Questa è la stessa cosa. Anche se spero che non sia davvero l’ultimo episodio”. Due settimane dopo lo stato del Texas lo ha ucciso.

Qualche ora dopo la sua morte, nella camera ardente, la ragazza di Wardlow – un’amica di penna di lunga data e un’attivista contro la pena di morte – lo ha toccato per la prima volta, singhiozzando e accarezzando il suo volto dentro la bara. In seguito mi ha scritto un messaggio chiedendomi se volessi la scatola con l’attrezzatura per i giochi di Wardlow. Dentro c’era un vecchio pezzo di carta che mi ha fatto sussultare. Era una lettera di scuse, scritta a mano e rivolta al figlio di Carl Cole. Era datata 1997. Piegata a metà, era rimasta lì, tra centinaia di pagine di schizzi di personaggi, tabelle e mappe. Erano i resti di un mondo di fantasia popolato da stregoni e orchi. Di recente l’avvocato di Wardlow mi ha confermato che quella lettera non è mai stata inviata, ma che un’altra, rivolta alla famiglia Cole, era stata recapitata dopo l’esecuzione.

Dopo la morte di Wardlow, Ford ha difficoltà a leggere e a fare le piccole cose che un tempo gli piacevano. “Questo posto ha un effetto pesante sulle persone”, mi ha spiegato durante una delle mie visite.

Man mano che i suoi amici e i suoi compagni di D&d ricevevano la notizia della data dell’esecuzione, Ford ha cominciato a preoccuparsi di quando lo stato fisserà la sua. Nel frattempo un gruppo di avvocati l’ha convinto a intentare con altri detenuti una causa per cambiare le condizioni d’isolamento nella sezione dei condannati a morte. La documentazione è stata depositata a gennaio e il caso è ancora aperto. Se Ford e gli altri vinceranno, gli uomini di Polunsky potranno giocare a D&d insieme, seduti intorno a un tavolo per la prima volta in vent’anni. Wardlow non ci sarà. “Ma fino a quando avremo il gioco”, mi ha assicurato Ford, “manterremo viva la sua memoria”. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1533 di Internazionale, a pagina 56. Compra questo numero | Abbonati