F inalmente in Giappone l’hip-hop è diventato un fenomeno di massa. Me ne sono resa conto nel clima effervescente che ha caratterizzato la seconda edizione del Pop Yours, il primo festival giapponese dedicato a questa cultura, che si è svolto a Chiba, poco lontano da Tokyo, il 27 e il 28 maggio.

Ascolto rap da vent’anni, ma durante la pandemia ho perso un po’ di concerti e non conoscevo la maggior parte degli artisti in programma. Quando il primo giorno del festival, nel pomeriggio, sono entrata un po’ intimidita nella sala, mi ha accolto il critico musicale Hiroshi Egaitsu, che segue l’industria rap giapponese da tempo: “L’artista che si sta esibendo ora si è affermato negli ultimi anni”, mi ha spiegato. Sul palco c’è Red Eye, un rapper originario di Osaka.

Genere che trascende

Nella sala strapiena, ragazzi e ragazze ballavano con trasporto al suono dei bassi in una formidabile armonia, probabilmente accentuata dal senso di liberazione che ha portato la fine della pandemia. In mezzo alle vibrazioni che facevano tremare il pavimento, Egaitsu mi ha detto all’orecchio: “Il pubblico adora questo artista. L’atmosfera mi ricorda il Sampin degli anni novanta”. Il Sampin camp, festival rap che si svolse nel parco Hibiya, a Tokyo, nel 1996, è un vero e proprio punto di riferimento per gli appassionati.

Il rap, nato a New York negli anni settanta, arrivò in Giappone agli inizi degli anni ottanta e alcuni pionieri come Ito Seiko, Chikada Haruo ed ECD cominciarono a rappare in giapponese. Primo grande evento hip-hop organizzato nel paese, il Sampin camp raccolse i migliori artisti di quegli anni. Non è esagerato dire che l’entusiasmo che circonda Pop Yours è altrettanto grande. Lo testimoniano i trentamila biglietti venduti in un mese per i due giorni del festival e l’eterogeneità del pubblico: si vedevano sia dei giovani vestiti in stile streetwear, o casual, sia degli spettatori in abiti eleganti.

Ma da quando l’hip-hop trascende le differenze sociali? “Penso che abbia inciso molto la vetrina dei social network, oltre al miglioramento delle performance, favorite dall’arrivo delle battles tra il 2000 e il 2010”, ha detto Egaitsu.

Le battles, sfide tra rapper che si affrontano improvvisando su un beat, sono diventate molto popolari con il campionato rap tra i liceali, trasmesso sui canali satellitari dal 2012 (attualmente in streaming su AbemaTv), e con il Freestyle Dungeon (Tv Asahi), lanciato nel 2015.

Awich (Awich x Verdy x Blackpatch)

Negli Stati Uniti nel 2017 il rap e l’rnb sono diventati i generi musicali più redditizi, scalzando il rock e imponendosi come corrente dominante nel pop, contaminandosi con altri stili. Mi sono resa conto di questa evoluzione sentendo Tohji il secondo giorno del festival, con i suoi beat allegri in stile dance. “Prende ispirazione dalla cultura rave e rivendica la forte influenza di Ayumi Hamasaki, una cantante molto popolare negli anni novanta e duemila”, mi ha spiegato il giornalista musicale Shin Futatsugi.

Tra gli altri rappresentanti della nuova generazione, estremamente eterogenea, ci sono ralph, che s’inserisce nel filone drill, sottogenere originario di Chicago, e Creepy Nuts, che ha raggiunto i vertici delle classifiche con canzoni molto orecchiabili.

Anche Lex, artista nato nella regione dello Shonan, sulla costa a sudovest di Tokyo, ha attirato la mia attenzione. Tra un brano e l’altro parlava direttamente con il pubblico, che gli rispondeva con trasporto. Tornando a casa ho fatto delle ricerche su di lui e mi sono imbattuta in un’intervista in cui parla dei suoi problemi psichici. “Chi ha detto che dovevo mostrarmi forte e nascondere le mie debolezze?”, chiede Lex, contraddicendo lo stereotipo del rapper presuntuoso.

Ho scritto le mie impressioni a Hiroshi Egaitsu, che mi ha risposto: “Mi sembra che la generazione z, cresciuta con il digitale, sia capace di ricevere le informazioni senza pregiudizi, ed è più sensibile e tollerante di fronte ai cambiamenti sociali, anche sulle questioni di genere”. A proposito di genere, non ho potuto ignorare la presenza di Awich come star principale del festival. Grazie alla fama che ha acquisito negli ultimi anni, è stata una scelta naturale, ma ero molto eccitata di vedere una donna al centro di un festival così importante.

Red Eye (redeye_official, Youtube)

La sua storia è particolare. Originaria di Okinawa, a 19 anni si è trasferita negli Stati Uniti, dove ha avuto una bambina con un afroamericano. Quando il compagno è morto in una sparatoria, lei si è trovata da sola con una figlia piccola. Ha fatto il suo esordio con una grande casa discografica nel 2020.

La regina di Okinawa

Il suo concerto è cominciato con Queendom, un brano che continua a darmi la pelle d’oca. Un concentrato della sua storia, questo pezzo parla del doloroso passato vissuto a Okinawa, del sogno di diventare rapper, ispirato dal compagno morto, e della volontà di rappresentare la sua regione natale. Awich è una regina. Se fossi più giovane l’avrei certamente presa come modello.

Negli ultimi anni molte altre rapper si sono distinte sulla scena hip-hop giapponese, a tal punto che la rivista culturale Eureka gli ha dedicato l’ultimo numero , con il titolo: “Il rap femminile di oggi”.

In due giorni si sono esibite: MFS (Mother Fucking Savage), il cui brano Bow è ormai famoso in tutto il mondo; Elle Teresa, che è diventata anche un’icona della moda; Lana, che ha promettenti doti vocali; e MaRI, un’artista che fa leva anche sulle sue radici brasiliane.

Un altro elemento significativo del festival è stato l’annuncio inatteso dello scioglimento dei Bad Hop. Questo gruppo di otto musicisti originari dell’area industriale di Keihin, zona a sud di Kawasaki, dominava la scena hip-hop da cinque anni. Nei loro brani i Bad Hop evocavano le difficoltà della loro infanzia. I fan li ascoltavano con entusiasmo quando in Hood gospel dicevano: “Da ragazzi poveri ci nascondevamo, ma quando facevamo rap eravamo noi stessi”.

Chuck D, un componente dei Public Enemy, ha dichiarato che il rap era la “Cnn dell’America nera”. Allo stesso modo i testi del rap giapponese riflettono la realtà della gioventù nipponica in un modo difficilmente alla portata dei mezzi d’informazione tradizionali.

In quanto arte, l’hip-hop si sta evolvendo ed è sempre più popolare tra i ragazzi. Trascinati dal ritmo, sono colpiti da un universo che è al tempo stesso puro e brutale, illusorio e concreto, anche se lontano dal mio. Completamente immersa nell’atmosfera del festival, che nessun video su YouTube potrebbe descrivere fedelmente, sono rientrata a casa maledicendomi per aver trascurato così a lungo la scena rap. ◆ adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1530 di Internazionale, a pagina 83. Compra questo numero | Abbonati