Mia nonna era una grande appassionata della Signora in giallo. Guardarla, diceva, la rilassava, e io non capivo come omicidi e intrighi potessero conciliarle il sonno invece di farla sobbalzare dalla poltrona su cui lei, intanto, si era già addormentata. Evidentemente a distenderla non era la trama ma la voce familiare della signora Fletcher, i colori tenui della fotografia, il montaggio leggero e la linearità logica degli snodi. A me succede lo stesso con Alessandro Barbero, lo storico più apprezzato, guardato, ascoltato, seguito degli ultimi dieci anni; che sia un podcast o un video, che parli del rogo di Giovanna d’Arco o del rapimento di Aldo Moro, la narrativa dello storico piemontese scaccerà dalla mia mente ogni inquietudine. Non perché sia soporifero, anzi, ma perché è straordinariamente capace di armonizzare il pensiero, di pacificarlo, di far cadere ogni resistenza critica. Barbero ha due qualità puramente televisive: la mimica sincronizzata al testo (l’agere degli antichi retori), con il pugno che funge da punto esclamativo, e l’impressione di credere in ciò che racconta. Un’evoluzione di Roberto Benigni più che di Paolo Mieli. Nello speciale di La7 su dittatura e democrazia, In viaggio con Barbero, scritto con Davide Savelli, le telecamere raccolgono le testimonianze del suo pubblico: fan adoranti, giovani e anziani, intellettuali e tatuati, uniti dalla riconoscenza di aver trovato nel caos ideologico la loro pulsatilla. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1530 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati