Alla cerimonia dei David di Donatello è stata lodata la capacità del cinema di incentivare il turismo: pare infatti che la maggior parte dei turisti che si reca a vedere la fontana di Trevi non sia attratta dal monumento, ma dalla scena del film La dolce vita . A me questo non sembra un successo del cinema, anzi. Poesia, pensiero, utopia: è possibile che ogni immaginazione debba essere al servizio di un’economia? La premiazione si è svolta a Cinecittà nel teatro 5, la casa di Federico Fellini. Isabella Rossellini, seduta vicino a me, mi ha raccontato sorridendo i discorsi che sentiva da bambina nei bei salotti, quando Fellini veniva criticato per la sua sconclusionatezza, per le sue ossessioni troppo volgari che oggi sono celebrate. In un’intervista lo stesso Fellini afferma: “Reazionari e dogmatici mi dicono che sono confuso. Di fronte a questi tentativi di schematizzare la vita c’è qualcosa che si ribella con grande violenza e vivacità, e credo che questa confusione sia l’unica salvezza contro ogni tentativo di mummificazione dogmatica”. Nei suoi film tende l’orecchio a una memoria comune che si è “quasi dimenticata”, dice. C’è allora qualcosa che possiamo quasi ricordarci, schiacciati tra i turisti davanti alla fontana di Trevi? Forse la nostra memoria quasi perduta non abita più lì, ma in una fontanella di periferia dove la notte, rientrando dalla cerimonia, ci fermiamo a bere dell’acqua freschissima.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1562 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati