A Mosca, dove i bar e i locali per concerti sono pieni e il rispetto delle misure contro il covid-19 è scarso, nessuna delle persone che conosco è convinta che stia per scoppiare una guerra in Ucraina. Leggono i giornali e guardano i telegiornali (non solo quelli delle emittenti statali), ma continuano a non credere al conflitto. “Sono tutti giochetti”, mi dice un amico mentre beviamo un caffè. Tanti sostengono che il dibattito su una guerra imminente sia alimentato soprattutto dai mezzi d’informazione statunitensi e britannici, che considerano inaffidabili. Alcuni pensano che il dispiegamento di truppe russe al confine con l’Ucraina sia solo una mossa tattica del presidente Vladimir Putin. Altri semplicemente si rifiutano di prendere sul serio gli sviluppi delle ultime settimane. Non ricordo un altro caso in cui l’opinione pubblica fosse così lontana dalle dichiarazioni dei commentatori.

Quasi tutti gli esperti con cui ho parlato pensano che le probabilità di un conflitto siano alte. Secondo François Heisbourg, consulente per l’Europa dell’International institute for strategic studies (Iiss), la situazione è simile a quella del drammatico autunno del 1983: il 1 settembre di quell’anno un intercettore sovietico abbatté un aereo di linea della Korean Air Lines in volo da New York a Seoul, scambiandolo per un aereo spia degli Stati Uniti. La tragedia era stata provocata da un errore di navigazione dei piloti coreani e dalla scarsa tolleranza dei sovietici per le intrusioni nel loro spazio aereo. A novembre la Nato organizzò le esercitazioni annuali, simulando un’intensificazione del conflitto che includeva un attacco nucleare coordinato. I generali sovietici risposero preparando l’arsenale atomico del paese e mettendo in allerta l’aeronautica in Germania Est e Polonia. Quando i documenti sulle esercitazioni Nato sono stati desecretati, nel 2015, gli analisti e gli storici hanno concordato sul fatto che l’autunno del 1983 sia stato uno dei momenti in cui il mondo si è avvicinato di più a un conflitto nucleare.

Oggi, nonostante la relativa trasparenza delle manovre russe, ci sono ancora elementi poco chiari. Putin è uno specialista quando si tratta di cogliere di sorpresa gli avversari, quindi gli analisti pensano che tutti gli scenari siano aperti: da un’offensiva aerea a distanza agli attacchi informatici fino a un’invasione di terra. In ogni caso, dicono gli esperti, è difficile immaginare che la Russia non faccia niente. Per Heisbourg le probabilità di un conflitto armato sono del 50-70 per cento.

Un altro aspetto che potrebbe contribuire indirettamente a un’operazione militare è la scelta a lungo termine fatta dalla Russia per proteggersi da possibili nuove sanzioni. È ormai da anni che Mosca aumenta le sue riserve di valuta estera, cercando di rendere la propria economia meno dipendente dal dollaro. I dati resi pubblici pochi giorni fa indicano che nel 2021 le riserve in dollari ammontavano al 16,4 per cento del totale, in calo rispetto al 22,2 per cento del 2020.

Il governo russo ha attuato una politica fiscale conservativa ed è riuscito a mantenere il debito pubblico al di sotto del 20 per cento del pil e prevede di portarlo al 18,5 per cento entro la fine del 2023. Intanto, secondo i dati dell’Fmi il debito pubblico del governo degli Stati Uniti ha raggiunto il 133 per cento del pil.

Da sapere
Colloqui poco produttivi

◆ Il 31 gennaio 2022 i rappresentanti di Stati Uniti e Russia si sono scontrati duramente sulla questione ucraina al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, accusandosi a vicenda di voler alimentare la tensione. Secondo la maggior parte dei commentatori una possibile soluzione diplomatica per normalizzare i rapporti al confine tra Russia e Ucraina è lontana. Anche perché i colloqui che si sono svolti a Parigi tra Russia, Ucraina, Francia e Germania non hanno prodotto passi avanti. Intanto il congresso statunitense ha fatto sapere di essere pronto ad adottare “la madre di tutte le sanzioni” in caso di invasione russa dell’Ucraina. Bbc


Un’eventualità remota

Non si può escludere poi che gli ultimatum della Russia all’occidente avessero l’obiettivo di essere respinti. La maggior parte degli analisti occidentali crede che Mosca abbia volutamente presentato a Washington e alla Nato richieste inaccettabili. L’accordo sulle garanzie di sicurezza proposto dalla Russia prevede che la Nato riporti tutte le infrastrutture militari alle posizioni precedenti al maggio 1997.

Bisogna considerare che Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca sono entrate nella Nato nel 1999. Cinque anni dopo è stato il turno di Bulgaria, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia ed Estonia. Nel 2009 si sono aggiunte Albania e Croazia, nel 2017 il Montenegro e nel 2020 la Macedonia del Nord. Secondo la proposta russa, tutti questi paesi dovrebbero rinunciare a ogni protezione militare garantita dalla Nato. Un’eventualità molto remota.

Gli esperti occidentali pensano che Putin, scegliendo una posizione pubblica così intransigente, si sia messo su una strada senza ritorno. Se il dispiegamento di truppe non portasse risultati, infatti, diventerebbe una minaccia vuota che potrebbe danneggiare in modo permanente la credibilità del presidente, sia in patria sia all’estero. Per questo gli occidentali pensano che Mosca abbia più interesse a forzare un conflitto che ad allentare la tensione. Eppure i diplomatici russi ribadiscono che la Russia non attaccherà nessuno e sta semplicemente aspettando una risposta scritta alle sue proposte.

Altri elementi fanno dubitare di un attacco russo. Mosca ha dimostrato più volte di poter prendere decisioni militari con estrema rapidità (pensate alla Siria e al Kazakistan). Invece il dispiegamento di forze ai confini dell’Ucraina è in corso alla luce del sole da mesi. Il senso di attesa creato dai movimenti di Mosca contrasta con il consueto approccio agile alle operazioni militari. Un ultimo aspetto da considerare è che qualsiasi operazione andrà presentata alla popolazione russa come “una guerra giusta”: il Cremlino deve incassare un colpo di qualche tipo prima di poter rispondere. Il problema è che l’opinione pubblica russa è pesantemente influenzata dalla propaganda statale, e ormai molte persone non cercano più nemmeno di farsi un’idea informata su temi di grande importanza. Come ha detto il mio amico, “sono tutti giochetti”. ◆ as

Maksim Trudoljubov è un giornalista russo. Scrive per il sito web Meduza.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1446 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati