Il 16 marzo il consiglio dei ministri italiano guidato da Giorgia Meloni ha inaspettatamente ridimensionato un atteso disegno di legge portato avanti dal ministero della giustizia sui crimini internazionali. Le modifiche escludono dal testo i crimini contro l’umanità, restringono il campo di quelli di guerra e del genocidio e l’ambito di applicazione della giurisdizione universale (la possibilità di perseguire reati molto gravi anche se non commessi da propri cittadini e sul proprio territorio), introdotta solo ora nell’ordinamento italiano, venti anni dopo l’entrata in vigore dello Statuto di Roma, il trattato che ha istituito la Corte penale internazionale (Cpi).

Crimini commessi dalla Russia

L’Italia continuerà a essere un caso isolato in Europa. Dal 2002, quando la Cpi ha cominciato la sua attività, i paesi che ne fanno parte si sono impegnati a introdurre reati come i crimini contro l’umanità, quelli di guerra, il genocidio e il reato di aggressione contro un altro stato nelle legislazioni nazionali. Questo obbligo informale per i firmatari dello statuto risponde al principio di complementarità, che dà la priorità ai tribunali nazionali e mira a facilitare la cooperazione degli stati con la corte, che ha la sua sede all’Aja, nei Paesi Bassi.

Quando nel febbraio 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina, la cooperazione sui crimini internazionali è diventata ancora più importante per l’Europa. “È stato come un campanello d’allarme, perché per molti di noi la guerra si è fatta più vicina”, afferma Philip Grant, fondatore di Trial international, un’ong che assiste le vittime e vigila sul rispetto dei diritti umani. Secondo lui questo evento ha accelerato la rinascita della giurisdizione universale. La Germania, la Spagna, la Svezia e altri stati europei hanno rapidamente avviato indagini per i presunti crimini commessi dalla Russia in Ucraina, ma all’Italia manca la base legislativa necessaria per seguire il loro esempio.

Per colmare questo vuoto, nel marzo del 2022 il governo Draghi aveva nominato una commissione presieduta da due autorevoli giuristi italiani, Francesco Palazzo e Fausto Pocar. “Abbiamo lavorato molto rapidamente per preparare ottanta articoli che potessero costituire un codice omogeneo per tutti e quattro i crimini internazionali”, afferma Chantal Meloni, che insegna diritto penale internazionale all’università di Milano e fa parte della commissione.

Il 20 marzo, pochi giorni dopo che il disegno di legge portato avanti dall’attuale ministro della giustizia italiano Carlo Nordio era stato fortemente ridimensionato, il ministro ha partecipato a una conferenza a Londra, nel Regno Unito, con i suoi colleghi provenienti da tutto il mondo per sostenere il lavoro della Corte penale internazionale in Ucraina. Nordio ha ribadito il sostegno dell’Italia alla Cpi, sottolineando che quello che Roma può offrire nel campo della cooperazione è la sua esperienza nella lotta alla mafia e al crimine organizzato internazionale.

“È vero che i procuratori italiani sono molto preparati per condurre indagini complesse”, afferma Chantal Meloni, “tuttavia manca la classificazione giuridica di questi crimini. Le procure devono fare riferimento a reati ordinari che non colgono la gravità, la dimensione sistematica e il legame con la politica. I magistrati e i pubblici ministeri in Italia sono pronti a lavorare su casi internazionali. Non è la competenza che manca, ma la volontà politica”. In passato ci sono stati tentativi di disciplinare questi crimini, spiega, ma questa era la prima bozza significativa in quindici anni.

“Magistrati e pubblici ministeri sono pronti a lavorare su casi internazionali. Non è la competenza che manca, ma la volontà politica”

Quando a luglio è caduto il governo Draghi, si temeva che il disegno di legge fosse accantonato. Invece, il nuovo ministro della giustizia Nordio ha creato un gruppo di lavoro più ristretto, di cui fa parte il giudice della Corte penale internazionale Rosario Aitala, e ha portato avanti il progetto di riforma. Il testo ha raccolto il consenso dei ministri della difesa e degli esteri, e l’approvazione del procuratore generale militare della repubblica. Quest’ultima fase sembrava decisiva perché in passato i militari hanno ostacolato proposte di legge simili per mantenere il controllo sui processi per crimini di guerra. È stato trovato un compromesso, affidando i crimini commessi da chi appartiene alle forze armate alla giurisdizione militare e rimettendo tutti gli altri crimini di guerra al giudizio dei tribunali civili.

Il comunicato stampa

“Avevamo dato per scontata l’approvazione della legge”, dice Chantal Meloni. Ma la cattiva notizia è arrivata sotto forma di un breve comunicato stampa che annunciava un nuovo progetto di legge emendato, senza alcun riferimento ai crimini contro l’umanità o al genocidio. Il consiglio dei ministri aveva cambiato drasticamente il testo. Cosa sia successo non è chiaro, dice Chantal Meloni, ma “pare che sia stata una scelta della presidenza del consiglio”.

Il comunicato stampa del 16 marzo fa riferimento a una giurisdizione più ampia sui crimini di guerra, all’introduzione del reato di aggressione e all’estensione della giurisdizione universale. Manca in particolare ogni riferimento ai crimini contro l’umanità, che impedisce ai magistrati italiani di perseguire i reati relativi all’Ucraina e ai migranti provenienti dalla Libia. “Anche se abbiamo leggi sulla tortura, l’omicidio e lo stupro, questi reati non sono considerati in modo sistematico e globale come avrebbe permesso l’introduzione di un codice internazionale”, si rammarica Chantal Meloni. Il disegno di legge, spiega, includeva l’apartheid, la persecuzione e la sparizione forzata. Nessuno di questi reati è stato preso in considerazione. Il testo completo con le modifiche non è ancora pubblicato ufficialmente.

Il rapporto finale della commissione, del maggio 2022, affermava che la riforma avrebbe creato un insieme organico di leggi. La definizione di “genocidio culturale” e la possibilità di perseguire le persone giuridiche (un organismo unitario caratterizzato da più individui o da un complesso di beni) costituivano una parte fondamentale del testo. Queste integrazioni avrebbero portato l’Italia al passo con l’evoluzione del diritto internazionale.

Quello che è rimasto della proposta è il reato di aggressione, su cui l’Italia si era già impegnata nel 2022, ratificando l’emendamento di Kampala allo statuto della Corte penale internazionale. Il comunicato stampa annuncia anche una giurisdizione più ampia sui crimini di guerra. Oggi in Italia questi reati sono regolati dai codici penali militari di pace e di guerra, che risalgono al 1941, prima della Convenzione di Ginevra, ricorda Chantal Meloni.

Per quanto riguarda la giurisdizione universale, il governo afferma che il nuovo quadro normativo consentirà di perseguire i crimini internazionali “ovunque siano stati commessi, se l’autore del reato si trova stabilmente nel territorio dello stato”. La commissione aveva subordinato la giurisdizione alla presenza del sospetto sul territorio italiano. Tuttavia, con l’aggiunta del termine “stabilmente”, il consiglio dei ministri sembra fare un altro passo indietro.

“Da un punto di vista politico, il fatto che un disegno di legge portato avanti da tre ministeri di tale importanza – giustizia, difesa ed esteri – sia stato modificato dal consiglio dei ministri senza preavviso è molto grave”, afferma Chantal Meloni. “Il vuoto legislativo lasciato è ingiustificabile, perché la commissione era altamente qualificata. Non so quando una circostanza del genere si potrà ripetere”.

“In effetti in numerosi paesi ci sono molte resistenze a vari livelli, all’interno delle istituzioni o delle forze armate, e nel corso degli anni si sono ripetute le stesse discussioni”, commenta Grant.

Grant ripercorre la storia della giurisdizione universale a partire dall’entusiasmo iniziale degli anni novanta e dei primi anni del duemila, cui ha fatto seguito una parziale restrizione della portata di queste leggi. Ma con la ratifica dello Statuto di Roma da parte di molti paesi e l’arrivo in Europa di un numero crescente di vittime, testimoni e autori di reati, decine di casi sono arrivati a processo. “Penso che ora la prassi giuridica dimostri quanto la giurisdizione universale sia destinata a essere uno strumento duraturo”, afferma Grant.

La Germania ne è un esempio. Da quando nel 2002 ha introdotto i crimini internazionali nel diritto nazionale ha potuto fare molti processi legati alla giurisdizione universale. Due di questi riguardavano il caso di un combattente del gruppo Stato islamico condannato per genocidio nel 2021 e quello di un siriano accusato di crimini contro l’umanità nel 2022. “Ma l’aggiornamento del diritto sostanziale è solo il primo passo”, afferma Patrick Kroker, avvocato tedesco e consulente legale del Centro europeo per i diritti costituzionali e umani sulla Siria. Inoltre, ricorda, sono necessari anche procuratori specializzati, unità sui crimini di guerra ben funzionanti e metodi speciali d’indagine. La Germania ha imparato molto negli ultimi due decenni e l’Italia avrebbe bisogno di tempo per rimettersi in pari. Kroker sottolinea che le indagini strutturali hanno bisogno di tempo: “Si comincia molto presto e si va molto a fondo per capire l’organizzazione dei crimini e i loro autori”. Nel caso della Siria, Kroker spiega che tutti i processi sono stati resi possibili solo da indagini cominciate nel 2011.

“La lotta all’impunità per i crimini internazionali dovrebbe essere considerata un dovere condiviso dalla comunità internazionale”, sostiene Grant. “Non dovrebbe essere lasciata nelle mani di pochi paesi”. La Danimarca, l’altro paese europeo in ritardo sui crimini internazionali, sta pianificando di modificare la sua legislazione per sostenere meglio le indagini sull’Ucraina, osserva Grant. L’Italia non è così indietro, poiché storicamente si è impegnata per perseguire e giudicare gli agenti statunitensi della Cia, i sudamericani nei processi legati all’operazione Condor e anche il traffico di esseri umani in Libia. “Dovrebbe essere in linea con questi sforzi. Non riesco davvero a capire il motivo per cui l’Italia sta impiegando tanto tempo”, afferma Grant. ◆ mf

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Questo articolo è uscito sul numero 1509 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati